È indubbio che sul digitale in Italia si siano fatti passi in avanti. Siamo passati in progressione dai due documenti strategici del Governo sulla banda ultra larga e sulla crescita digitale, all’attuazione di un programma importante quale quello della fatturazione elettronica, all’avvio di progetti di trasformazione profonda della Pa come lo Spid e l’Anagrafe unica della popolazione residente.
Possiamo dirci soddisfatti? Non possiamo, perché dobbiamo colmare un enorme gap di mancati investimenti in digitale, fattore che ci trascina in fondo alle classifiche europee di competitività, efficienza della Pa, produttività. Abbiamo un imponente e complesso compito di fronte, quello della trasformazione competitiva del Paese attraverso il digitale, che rappresenta la strada maestra per consolidare la ripresa che appena si intravede e spingere verso l’alto gli indici di crescita. Il tempo in questa partita è fondamentale. Occorre accelerare. Questa deve essere la parola d’ordine della leadership pubblica e privata, l’ossessione da trasmettere al Paese attraverso messaggi chiari e determinati. Una riflessione: le nuove tecnologie del cloud, di Internet of Things, dei Big Data, dell’Industry 4.0, le nuove piattaforme applicative, la sharing economy, di fatto mettono in discussione la maniera con la quale un’organizzazione affronta il tema tecnologico.
Per questo la Pa deve adottare metodi nuovi per progettare e realizzare queste trasformazioni, basati sull’innovazione continua, sul trasferimento di know how, sull’accorciamento dei tempi, sulle piattaforme aperte e interoperabili. La soluzione va trovata in un forte modello di partenariato pubblico-privato, più moderno ed efficace, Non certo rianimando ipotesi anacronistiche che si rifanno ai vecchi esempi dell’informatica pubblica. La linfa dell’innovazione è la concorrenza, all’interno della Pa e nel mercato, quale partner fondamentale in questa partita.