No alla web tax: sarebbe un “ulteriore onere” per le imprese digitali e una “barriera” per chi vuole sperimentare nuovi modelli di business. A dirlo è il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania in occasione dell’audizione tenuta nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla fiscalità digitale tenuta presso la Commissione Finanza della Camera.
“Sarebbe un grave errore – ha affermato Catania – trattare l’economia digitale come un settore a sé stante, verso cui istituire un regime speciale di tassazione o addirittura come occasione per prendere di mira particolari aziende. Oggi, infatti, è l’economia nel suo complesso che sta diventando digitale ed è questo il fenomeno globale che sta rendendo obsoleta o inefficace la normativa fiscale vigente”.
Secondo il presidente di Confindustria Digitale, se si ignora questa dinamica nell’attività di regolamentazione, si “corre il rischio di creare un ambiente giuridico ostile all’innovazione. Il giusto obiettivo di mettere fine alla dannosa concorrenza fiscale tra Stati e tra settori economici – prosegue – oggi va perseguito valorizzando al massimo il potenziale delle tecnologie digitali per la crescita e la modernizzazione dell’intera economia”.
A suo dire la leva fiscale, “tanto più in un contesto economico difficile come quello attuale”, deve essere usata come “fattore propulsivo, teso a creare un ambiente di sana concorrenza, favorito da condizioni di certezza e semplicità del quadro normativo. Per questo – puntualizza – siamo contrari a soluzioni tipo web tax o bit tax che si tradurrebbero semplicemente in un ulteriore onere per le imprese digitali e in potenziali barriere d’ingresso per le aziende che volessero sperimentare nuovi modelli di business basati sul web e sulla raccolta dei dati”.
“Siamo invece assolutamente favorevoli, e ampiamente disponibili a collaborare, alla rivisitazione dei principi generali su cui si fonda la fiscalità internazionale, in modo da raggiungere un maggior e più efficace coordinamento fra i governi sulle politiche tributarie, trovare soluzioni ispirate a criteri di equità della tassazione eliminando disparità di trattamento e rimuovendo ostacoli allo sviluppo dell’economia digitale”.
“In particolare, sulla scia delle conclusioni a cui è giunto il gruppo di esperti della Ue e la stessa Ocse – ha specificato Catania – può essere oggetto di revisione la normativa su cui si basa il transfer pricing, la procedura, cioè, attraverso la quale le imprese multinazionali determinano i prezzi delle transazioni internazionali all’interno del gruppo, al fine di far emergere il vero valore prodotto dai cosiddetti beni intangibili. È il caso, per esempio, del trasferimento di know how tra unità di una stessa impresa in paesi diversi. Allo stesso tempo può essere ripensato il tradizionale concetto di stabile organizzazione per adattarlo alla realtà digitale, sostituendolo con quello di presenza significativa. Per quanto riguarda l’Iva è necessario allineare la disciplina sui contenuti digitali ai beni fisici assimilabili, rispetto ai quali le tecnologie informatiche intervengono esclusivamente cambiando le modalità di fruizione del bene. Si pensi, ad esempio, al tema in discussione sugli e-book, soggetti ad aliquota ordinaria e che, dunque, non si giovano della tassazione ridotta prevista per l’editoria cartacea”.
“Un’auspicabile soluzione a questa problematica – ha concluso il presidente di Confindustria Digitale – non può non passare attraverso un’attenta valutazione dei modelli organizzativi e funzionali con cui un gruppo multinazionale opera all’interno del mercato globale, in modo da poter conoscere l’intera catena del valore, le attività significative e i relativi rischi sostenuti. Su questo la Federazione intende dare il suo contributo al Governo e al Parlamento, offrendo la sua competenza e conoscenza del settore e dei suoi peculiari modelli di business”.