Catasto e finanziamenti. Non è un paese per startup

La burocrazia uccide le migliori intenzioni: alla startup negati i fondi perché il locale era accatastato a “uso abitativo” e non a “uso ufficio”. La rubrica di Edoardo Narduzzi

Pubblicato il 03 Giu 2016

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Per capire perché al terzo anno di governo Renzi gli investimenti continuano a latitare c’è una sola possibile chiave di lettura: la burocrazia che ancora eroga servizi indegni dell’eurozona e della modernità. Servizi da terzo mondo.

Una storia vera dal campo del fare impresa in Italia subita da una startup innovativa beneficiata di un finanziamento pubblico. La startup non apre in un garage, come quello mitico californiano della Apple di Steve Jobs, e neppure in una stanza di motel, come quello in cui per un anno è nata ed ha operato in New Mexico la Microsoft di Bill Gates, ma più italianamente in un appartamento residenziale concesso in comodato d’uso dai genitori ai giovani startappari. Gli imprenditori fanno gli investimenti e rendicontano il primo anno di attività svolto all’agenzia dell’amministrazione pubblica incaricata di erogare i fondi in favore delle startup. E cosa pensate che scoprono? Ovvio, che non possono avere diritto al contributo perché l’immobile dove è stata creata la startup in catasto non ha la destinazione “uso ufficio” ma quella “ non finanziabile” di “uso abitativo”. Se pensate che sia una storia surreale scrivetemi e vi farò avere tutti i dettagli che evito di pubblicare per rispetto del buon nome della Repubblica italiana, perché storie come questa, da italiano, mi fanno profondamente vergognare e non mi fanno sentire un cittadino dell’Europa.

Ecco spiegato perché, con questa burocrazia anti impresa ed antisviluppo, l’Italia è condannata da avere un pil dalla crescita zero virgola. Matteo Renzi, oggettivamente, ha fatto anche molto: via l’Irap sui contratti di lavoro a tempo indeterminato; credito di imposta pari al 50% delle spese di ricerca per un quinquennio; patent box; decontribuzione dei neoassunti; superammortamenti dei beni strumentali. Oggi il tax rate di una startup in Italia è competitivo e ci dovrebbe essere la fila ad investire anche dall’estero perché il costo del capitale umano qualificato è davvero contenuto.

Ma con una burocrazia che pretende di avere startup che nascono ed operano esclusivamente in locali accatastati ad uso ufficio la crescita e lo sviluppo sono un miraggio. Nonostante gli sforzi di Renzi l’Italia non è un paese per startup.

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