“Produttori cinematografici e televisivi, autori, registi e attori ci chiedono con forza di difendere la nostra cultura e di escludere l’audio visivo dal trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti. Oggi c’è un’asimmetria di disciplina tra chi fa tv tradizionale e chi opera su Internet”. Così, a proposito dell’eccezione culturale, il viceministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà in audizione alla Camera. “Sarebbe molto grave un cedimento nella difesa del settore dell’audiovisivo europeo nella trattativa sul libero scambio con gli Usa. Non si può fermare il vento con le mani, il progresso, ma non si possono nemmeno favorire operatori che non investono in contenuti, non creano ricchezza e non pagano tasse in Europa”, ha concluso Catricalà.
L’accoro di libero scambio tra Unione europea e gli Stati Uniti punta a la zona di libero mercato e investimento più grande del mondo. Secondo il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso “un accordo futuro tra le due maggiori potenze economiche del mondo cambierà gli equilibri mondiali, dando una spinta consistente alle economie su entrambe le sponde dell’Atlantico”.
Il progetto deve però affrontare l’ostacolo rappresentato dalla campagna francese per l’eccezione culturale a tutela dei sussidi per le industrie artistiche, come quella musicale e cinematografica.
Lo scorso maggio il ministro della cultura francese Aurélie Filippetti è riuscito a convincere 13 colleghi a firmare una lettera indirizzata alla Commissione europea e alla presidenza irlandese dell’Ue per chiedere di escludere il cinema e il settore audiovisivo dal progetto di accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. La lettera è stata firmata dai rappresentanti di Germania, Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Spagna, Ungheria, Italia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Slovenia.
Attraverso la lettera 14 stati europei – che rappresentano comunque una vasta maggioranza della popolazione europea” nonostante l’assenza del Regno Unito e dei Paesi Bassi – chiedono il mantenimento dell’“eccezione culturale” che consiste nell’escludere i servizi audiovisivi da ogni liberalizzazione commerciale davanti “allo strapotere dell’industria audiovisiva americana”.