Quanto pesa il video? Sappiamo che da tempo è diventato uno dei principali contenuti di Internet. E che mette a dura prova le infrastrutture della rete. Ma anche che produce valore. L’arrivo di attori come Netflix anche sul mercato italiano, e comunque in fase di rapida espansione, rendono la quantità di video che circola in rete quasi inimmaginabile.
Gli esperti ritengono che nel prossimo futuro le aziende investiranno nel video più del triplo di quanto investivano in passato. Stando alle previsioni della società di ricerche MarketsandMarkets, la spesa aziendale per il video, che nel 2013 ammontava a 11,2 miliardi di dollari, arriverà a 35,6 miliardi nel 2018. Entro il 2018, i bit che attraversano l’Internet consumer saranno costituiti per il 79% da video. E il pubblico risponde con entusiasmo: il consumo soprattutto su una pletora di strumenti connessi in mobilità, spesso da casa ma ancora più spesso dall’esterno magari su WiFi di luoghi pubblici o con connessione 3G/LTE, aumentano in maniera esponenziale.
Il problema è che, assieme alla diffusione e al consumo del video, crescono anche le aspettative. Il video deve arrivare subito, “saturare” la banda passante, avere qualità elevatissima.
Per riuscirci, Internet ha un problema: la democrazia dei pacchetti, la net neutrality che permette a qualunque soluzione di avere spazio perché non c’è prioritarizzazione (eccessiva) tra pacchetti di protocolli diversi in rete, è anche il nemico dei servizi di streaming e delle attività in real time come il gaming. In ogni caso, anche se bastano letteralmente un pugno di millisecondi perché un pacchetto di dati possa fare il giro del mondo, la leggera differenza di tempo di latenza impatta in maniera esponenziale quando, anziché pochi bit, ad attraversare grandi distanze ci sono flussi di miliardi di miliardi di bit. Servono soluzioni che mitighino i problemi. Come le CDN.
Oggi infatti uno streaming con frequenti interruzioni e una riproduzione di scarsa qualità determinano un giudizio negativo irremovibile. Stare al passo con tutto questo non è facile, ma la buona notizia è che gli ingredienti per una distribuzione online di contenuti media di qualità ci sono e aspettano solo di essere utilizzati. Entrano in campo come detto le tecnologie “CDN”, Content delivery network. I sistemi per gestire l’ottimizzazione della distribuzione dei contenuti multimediali su tutto il pianeta.
Secondo Akamai, uno dei principali attori del mercato CDN, gli spettatori sono disposti a tollerare solo lievi ritardi dopo aver premuto il tasto “Play”. Dopo un ritardo iniziale di due secondi per un video, un podcast o una clip, molti spettatori cominceranno ad abbandonare la sessione. In seguito, per ogni secondo di ritardo aggiuntivo, circa il 6% del pubblico interromperà la visione del contenuto. Le probabilità che un utente torni a visitare un sito Internet dopo una sessione media normale è dell’11%, percentuale che scende all’8% per coloro che hanno riscontrato problemi nella riproduzione.
Soluzione? Routing dinamico per evitare la congestione della rete, aumentare la velocità dei trasferimenti di file, utilizzare una transcodifica cloud-based, ottimizzandola per la gamma dei dispositivi utilizzati. Configurazioni uniche e ottimizzazioni della rete, con monitoraggio costante delle prestazioni stanno diventando la base per riuscire a lavorare sulla distribuzione di contenuti video e multimediali al di fuori della propria azienda. Tra l’altro, con l’emergere di sensori e strumenti di analisi dei dati su internet, i big data, la precisione nel tipo di ottimizzazioni ottenute da queste misure sta diventando incrementalmente sempre maggiore e apre la strada a soluzioni sempre più mirate.
I fornitori di soluzioni CDN permettono di avere proprio questo: routing mirato e più efficiente, trasncodifica nel cloud, rapidità nella movimentazione di file anche molto grandi, streaming costruiti in maniera più veloce e ottimale rispetto anche a decine di siti diversi e ad apparecchi. Un futuro in cui questo segmento di tecnologia diventerà sempre più strategico.