«L’Icann è troppo Usa-centrico, non è un modello perfetto e bisogna avere il coraggio di migliorarlo»: se a dirlo è proprio il suo presidente e Ceo, Fadi Chehadé, c’è da crederci. Da un anno alla guida dell’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, potente organizzazione no-profit statunitense impegnata per la sicurezza, stabilità e interoperabilità di Internet e nota perché assegna alle aziende i domini quali .com o . net, questo professionista dell’hi-tech con 3 nazionalità (egiziana, libanese e americana) sta attuando una vera e propria rivoluzione. Per esempio ha fatto aprire nuove sedi operative nel mondo e sta gestendo la delicata fase dell’emanazione di nuovi Top-level domain names (Tld). Ma il suo obiettivo più ambizioso è dare vita a un nuovo modello di Internet governance.
A proposito di governo della Rete, come si può ricomporre la frattura tra Usa e Ue da una parte, che tifano per una Rete libera e auto-governata, e Cina e Russia dall’altra che invocano più controlli governativi?
La Rete è diventata troppo importante perché le decisioni vengano prese da un’unica istituzione. Il 90% dell’infrastruttura è in mano ai privati e gli utenti sono parte intrinseca del tessuto della Rete. Perciò si è formato un gruppo di persone che crede fortemente in un approccio multistakeholder, con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati. Altri ritengono invece che la governance debba essere affidata ai governi, ma a mio parere è un gruppo più limitato. In mezzo ci sono quei Paesi che ancora cercano una soluzione. Il fatto è che, al momento, non esistono istituzioni multistakeholder in grado di parlare a tutto il mondo. Non lo è l’Itu (International Telecommunication Union), l’agenzia dell’Onu che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni, che ha mostrato più volte le sue falle, soprattutto nelle questioni transnazionali. Per questo il governo di Internet deve essere affidato a un’istituzione mondiale che raccolga gli esponenti dei governi ma anche gli addetti al settore Ict, le aziende che controllano la maggioranza delle infrastrutture, gli accademici, la società civile. Dirò di più: occorre evolversi verso un modello “multi-equal-stakeholder”, e sottolineo la parola “equal”: in pratica non deve esserci un gruppo di persone che prevale sull’altro solo perché è più potente. Non è facile, lo so: bisogna procedere per gradi.
Pensa a una riforma sostanziale dell’Icann o addirittura alla nascita di un nuovo soggetto?
So che bisogna avere il coraggio di dire che l’Icann non è perfetto, perché sono in molti a sostenere che va bene così com’è. Invece si può e si deve migliorare.
Lei cosa sta facendo per migliorarlo?
Finora è stato molto ‘Usa-centered’ ed è anche per questo motivo che hanno scelto me, che ho vissuto e lavorato in tutto il mondo. Da quando sono all’Icann abbiamo aperto altri due sedi operative oltre al quartier generale a Los Angeles: una ad Istanbul, per coprire l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), e l’altra Singapore per l’Asia-Pacifico. Vogliamo essere sul posto soprattutto per ascoltare, non per parlare. Abbiamo poi inaugurato un ufficio a Pechino, uno a Montevideo, ne apriremo uno a Ginevra. Il rappresentante per l’Icann in America Latina risiedeva a Washington, l’abbiamo rientrare nel suo Paese. Anche lo staff è sempre più internazionale: la maggior parte del personale non è di origine americana. Tra l’altro siamo cresciuti numericamente: sotto la mia direzione siamo passati da 120 a 300. Ma quello che conta è che abbiamo una vision più “global” e stiamo imparando, da americani, a cercare di capire come ci vedono gli altri. Quando ero General Manager del Global Technology Services di Ibm in Medio Oriente e NordAfrica ci insegnavano a guardare l’azienda dall’esterno, come se fossimo solo osservatori. Così deve essere con l’Icann.
E l’Europa? Quanto conta per voi?
È un giocatore centrale del dialogo mondiale e funge spesso da ago della bilancia in situazioni internazionali. Quanto all’Italia, che è nel cuore dell’Europa, ha più volte assunto il ruolo di “segnale indicatore” in diverse questioni, tra cui quelle relative a Internet. A mio parere il vostro Paese ha un grande potenziale di crescita nel settore della Internet economy e spero che l’attuale governo continui su questa linea politica, che è in grado di garantire ottime opportunità soprattutto ai giovani. Vivendo per un periodo in Italia e lavorando, tra l’altro, al Politecnico di Milano, ho visto tanti giovani talenti: a loro basta una piattaforma Internet per creare un business in grado di espandersi nel resto del mondo. Negli ultimi 15 anni l’Italia ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della Rete, nei prossimi 15 dovrà stare attenta a non distruggere quello che ha creato e puntare invece ad evolversi. E dovrà cogliere l’occasione della crescita globale di Internet per rilanciare la propria economia.
Tornando all’Icann, da mesi è alla ribalta per l’emanazione dei nuovi Tld, la più grande espansione del sistema di indirizzi Internet dalla sua nascita nel 1998. Perché questa scelta?
Il mondo dei “nomi” su Internet era limitato: i Tld erano solo 23…Così ci siamo detti: perché non dare la possibilità a tutti di avere un ‘pezzo’ di Internet? Ad oggi sono state inizialmente approvate oltre 1.500 richieste per suffissi di vario tipo, da .book a .app, per capirsi. E poi finalmente saranno rappresentate in Rete lingue che non hanno l’alfabeto latino. Molti di questi domini infatti non sono in inglese ma in caratteri cinesi, arabi o cirillici. Tutto questo favorirà gli utenti e migliorerà la qualità dei contenuti in inglese presenti sul web, che a mio parere non sono eccellenti.
Ma vi è stata contestata la cifra elevata per acquistare il dominio (185mila dollari) e il rischio monopolio: grandi gruppi che fanno incetta di suffissi per sbaragliare la concorrenza.
Dobbiamo fare un lavoro migliore rispetto all’inizio del programma per aiutare anche le realtà più piccole a partecipare. Il costo effettivamente è elevato, soprattutto per una piccola azienda, e si può abbassare. Anch’io ho cominciato in un garage e so cosa vuol dire.
E sul rischio che i big si approprino a scopi commerciali di “nomi” che dovrebbero essere patrimonio della comunità? Per esempio: .amazon lo darete ad Amazon o ai difensori della foresta amazzonica?
Sulla questione .amazon abbiamo discusso molto con governi e utenti. È stato proprio un approccio multistakeholder: non è facile per i governi capire che all’Icann non c’è la votazione per alzata di mano, come all’Onu, ma che lavoriamo insieme, ci parliamo, ci sediamo a un tavolo e ci confrontiamo. Anche nel caso dell’Amazzonia, come di molte altre realtà coinvolte nella distribuzione dei nuovi domini, sono sicuro che un modello di questo genere ci porterà a fare la cosa giusta.
L'INTERVISTA
Chehadé: “Ecco come rivoluzionerò l’Icann”
Il Ceo è al lavoro su una trasformazione multistakeholder dell’ente no-profit: “È eccessivamente Usa-centrico: invece deve aprirsi al mondo e coinvolgere alla pari aziende Ict, governi e utenti. La Rete è troppo importante perché decida uno solo”
Pubblicato il 04 Ott 2013
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