“L’Italia ha un grande potenziale di crescita nel settore della Internet economy e spero che questo governo continui questa politica, perché è in grado di garantire ottime opportunità soprattutto ai giovani”. Lo ha detto Fadi Chehadé, presidente e Ceo dell’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) al Corriere delle Comunicazioni (l’intervista integrale sarà pubblicata sul quindicinale cartaceo).
Chehadé è da un anno ai vertici della potente organizzazione no-profit americana con sede a Los Angeles, impegnata nel mantenimento della sicurezza, della stabilità e dell’interoperabilità di Internet ma nota soprattutto perché assegna a aziende e organizzazioni i domini (.com, . net). Il Ceo, che può dirsi “cittadino del mondo” vantando ben tre nazionalità (egiziana, libanese e statunitense) e che ha trascorsi lavorativi in varie parti del globo, Italia compresa, ha incontrato a Roma il viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà.
Motivo dell’incontro?
L’Europa ha un ruolo centrale nel dialogo mondiale, spesso funge da bilanciamento tra visioni diverse, e l’Italia è al centro dell’Europa: più volte il vostro Paese ha assunto il ruolo di ‘segnale indicatore’ in diverse questioni, tra cui quelle relative a Internet.
Crede che gli italiani riusciranno a risollevarsi dalla crisi puntando sulla Internet economy?
Vivendo per un periodo in Italia e lavorando, tra l’altro, al Politecnico di Milano, ho visto tanti giovani talenti: a loro basta una piattaforma Internet per creare un business in grado di espandersi nel resto del mondo. Credo che l’Italia debba cogliere l’occasione della crescita globale di Internet per rilanciare la propria economia. Peraltro sono spesso in viaggio: la prossima settimana sarò a Bruxelles dal Commissario per l’Agenda Digitale Neelie Kroes, e l’anno prossimo vivrò con la mia famiglia tra Istanbul e Singapore, dove ho deciso di aprire due nuove sedi operative dell’Icann.
È una strategia di internazionalizzazione?
Sì. Finora l’Icann è stato molto ‘Usa-centered’ ed è anche per questo motivo che hanno scelto me. Per fare un esempio: il rappresentante per l’Icann in America Latina risiedeva a Washington, l’ho fatto rientrare nel suo Paese. Abbiamo aperto un ufficio a Pechino, uno a Montevideo, ne apriremo uno a Ginevra. Vogliamo essere sul posto soprattutto per ascoltare, non per parlare. Quando lavoravo all’Ibm come General Manager del Global Technology Services in Medio Oriente e NordAfrica ci insegnavano a guardare l’azienda dall’esterno, come se fossimo solo osservatori. Così vorrei fare con l’Icann.
Parliamo di Internet governance, nodo tuttora irrisolto. Dopo lo strappo del vertice di Dubai, neppure al forum di Ginevra si è ricomposta la frattura tra Usa e Ue da una parte (che “tifano” sostanzialmente per una Rete libera e auto-governata) e Cina e Russia più altri Paesi dall’altra. Secondo lei qual è la strada più opportuna?
Per la governance mondiale di Internet serve un’istituzione multistakeholder che riunisca esperti dell’ICT, aziende, governi, accademici ed esponenti della società civile. La Rete è diventata troppo importante perché le decisioni vengano prese da una sola istituzione. E questa non può essere l’Itu, che rappresenta i governi. Dirò di più: occorre evolversi verso un modello “multi-equal-stakeholder”, e sottolineo la parola “equal”: in pratica non deve esserci un gruppo di persone che prevale sull’altro solo perché è più potente. Non è facile, lo so: bisogna procedere per gradi.
Pensa a un nuovo Icann?
So che bisogna avere il coraggio di dire che l’Icann non è perfetto e replicare a chi sostiene che va bene così com’è. Si può e si deve migliorare.
Intanto però sono sorte polemiche sulla vostra gestione dei Top-level domain names (Tld) dopo che nel 2011 avete deciso di emanarne di nuovi oltre ai tradizionali .com, .info, .org…
Il mondo dei “nomi” su Internet era limitato: i Tld erano solo 22…Così ci siamo detti: perché non dare la possibilità a tutti di avere un ‘pezzo’ di Internet? A tutt’oggi sono state inizialmente approvate oltre 1.500 richieste per suffissi di vario tipo, da .book a .app, per capirsi.
Ma vi è stata contestata la cifra troppo elevata per acquistare il dominio (185mila dollari) e il rischio monopolio (grandi gruppi che fanno incetta di centinaia di domini per sbaragliare la concorrenza).
Il costo effettivamente è elevato, soprattutto per una piccola azienda, e si può abbassare. Anch’io ho cominciato in un garage e so cosa vuol dire.
E sul rischio che i big di Internet si approprino a scopi commerciali di suffissi che dovrebbero essere patrimonio di un territorio o di una comunità? Per esempio: il suffisso .amazon lo darete ad Amazon o ai rappresentanti della foresta amazzonica?
Sulla questione .amazon abbiamo discusso molto con governi e utenti. È stato proprio un approccio multistakeholder, che – ricordo – non funziona per alzata di mano ma passa attraverso il consenso. E sono sicuro che ci porterà a fare la cosa giusta.