STRATEGIE

Chip, la Cina punta a diventare una “superpotenza tecnologica” autosufficiente

Il Governo spinge le Big tech del Paese, a partire da Alibaba e Tencent, a sviluppare processori in grado di sopperire alla carenza di semiconduttori. Ma per gli osservatori la strategia porterebbe a un disaccoppiamento all’interno del mercato globale

Pubblicato il 28 Dic 2021

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Per contribuire a rendere la Cina una “superpotenza tecnologica” autosufficiente, il Partito Comunista sta spingendo i principali gruppi tecnologici del Paese a sostenere l’oneroso ruolo di produttore di chip. L’unità dedicata ai processori di Alibaba, T-Head, ha per esempio presentato il suo terzo chip a ottobre, lo Yitian 710, da devolvere alle operazioni cloud computing del colosso fondato da Jack Ma, che – afferma – per ora non ha intenzione di rifornire terze parti. Ma anche Tencent e Xiaomi stanno impegnando miliardi di dollari in linea con i piani ufficiali per creare dispositivi informatici e altre tecnologie che contribuiranno ad aumentare la ricchezza e l’influenza globale della Cina.

L’obiettivo dell’autosufficienza di Xi

“L’autosufficienza è il fondamento della nazione cinese”, aveva detto il presidente Xi Jinping in un discorso alla nazione che risale a marzo, durante il quale ha chiesto alla Cina di diventare una “superpotenza tecnologica” per salvaguardare la “sicurezza economica nazionale. Dobbiamo sforzarci di diventare il principale centro mondiale della scienza e un punto di riferimento per l’innovazione”, ha proclamato Xi.

Se il piano avrà successo, però, non sarà probabilmente un bene per l’economia globale: i leader economici e politici avvertono che l’avverarsi delle ambizioni di Xi potrebbe rallentare l’innovazione, interrompere il commercio mondiale e impoverire i mercati. La tesi è che i produttori di chip e altre aziende faranno fatica a competere se si distaccheranno dai fornitori globali di componenti e tecnologie avanzate, un obiettivo che nessun altro paese sta perseguendo. “È difficile immaginare un paese che ricostruisca tutto questo e disponga della migliore tecnologia”, ha affermato Peter Hanbury, che segue il comparto per Bain & Co.

I rischi per il mercato globale

D’altra parte, le carenze dovute alla pandemia di coronavirus stanno interrompendo la produzione globale e aumentando le preoccupazioni per le forniture. I chip rappresentano la principale voce dell’import cinese, davanti al petrolio greggio, con oltre 300 miliardi di dollari di acquisti registrati l’anno scorso. L’emergenza si è aggravata dopo che Huawei ha perso l’accesso ai chip statunitensi e ad altre tecnologie nel 2018 a causa delle sanzioni imposte dalla Casa Bianca. Ciò ha paralizzato l’ambizione del produttore di apparecchiature per telecomunicazioni di ottenere la leadership nel settore degli smartphone di prossima generazione. I chip sono quindi una priorità assoluta nella maratona per porre fine alla dipendenza della Cina dalla tecnologia degli Stati Uniti, del Giappone e di altri fornitori che Pechino vede come potenziali rivali economici e strategici.

Tuttavia, se i vari mercati dovessero disaccoppiarsi o dividersi in compartimenti con standard e prodotti incompatibili, le componenti prodotte negli Stati Uniti o in Europa potrebbero non funzionare nei computer o nelle auto cinesi, e viceversa. I produttori di smartphone che hanno un unico sistema operativo globale dominante e due standard di rete potrebbero dover creare versioni uniche per mercati diversi. Ciò potrebbe rallentare lo sviluppo globale. Washington e Pechino devono “evitare che il mondo si separi”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres all’Associated Press a settembre.

Alla Cina mancano soluzioni complementari per chiudere la filiera

Huawei e altri gruppi cinesi sono vicini a eguagliare Intel, Qualcomm, Samsung e Arm nella capacità di progettare chip logici “bleeding edge” per smartphone, stando alle informazioni a disposizione degli analisti del settore. Ma quando si tratta di produrli, fonderie come la Smic di proprietà statale di Shanghai sono indietro di un decennio rispetto ai leader del settore tra cui Tsmc, che produce chip per Apple e altri marchi globali. Anche aziende come Alibaba che possono progettare chip probabilmente avranno bisogno di fonderie taiwanesi o di altre società straniere per realizzarli.

Inoltre, Pechino afferma che spenderà 150 miliardi di dollari dal 2014 al 2030 per sviluppare la sua industria dei chip: si tratta comunque di una quota minima rispetto a quanto investono i leader globali nel complesso. Basti pensare che la sola Tsmc prevede di spendere 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni in ricerca e produzione.

La Cina rappresenta il 23% della capacità di produzione globale di chip, ma solo il 7,6% delle vendite. L’imballaggio di milioni di transistor su un frammento di silicio delle dimensioni di un’unghia richiede infatti circa 1.500 passaggi, precisione microscopica e tecnologie attualmente di proprietà di una manciata di fornitori, soprattutto statunitensi, europei, giapponesi.

La Cina “è in notevole ritardo” in termini di strumenti, materiali e tecnologia di produzione, ha affermato la Semiconductor Industry Association in un rapporto di quest’anno. Washington e l’Europa, citando problemi di sicurezza, bloccano l’accesso agli strumenti più avanzati di cui i produttori di chip cinesi hanno bisogno per eguagliare i leader globali in termini di precisione ed efficienza. Senza quelli, la Cina è destinata a rimanere sempre più indietro, ha rimarcato Hanbury di Bain.

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