Il solo annuncio della visita di Nancy Pelosi a Taiwan basta per trascinare al ribasso i titoli dei chip: l’attesa della portavoce della Camera degli Stati Uniti nell’isola ha provocato una flessione generalizzata del valore delle azioni delle aziende del settore. L’arrivo di Pelosi a Taiwan segnala, infatti, una netta escalation delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, visto che Pechino non vuole alcuna ingerenza esterna nei complicati rapporti con quello che considera un proprio territorio “ribelle”.
Taiwan ha un peso strategico nell’industria dei semiconduttori, perché è sede di alcuni dei più grandi produttori mondali per conto terzi, ovvero i contractor Taiwan semiconductor manufacturing Co (Tsmc) e United Microelectronics corp (Umc). Le loro azioni hanno perso, rispettivamente, il 2,4% e il 3% nella seduta odierna.
Nessuna delle più alte cariche degli Stati Uniti ha visitato Taiwan negli ultimi 25 anni. L’atterraggio di Pelosi a Taipei è atteso in serata e, al momento, non ufficialmente confermato. L’inviato cinese alle Nazioni Unite, Zhang Jun, ha avvertito che la visita minerebbe le relazioni Cina-Stati Uniti e Washington ne dovrà “sopportare tutte le conseguenze”.
Turbolenze sul mercato dei chip
In generale, la borsa di Taiwan ha lasciato sul tappeto l’1,6%, il calo maggiore da tre settimane. I titoli quotati in Cina hanno invece subito la peggior caduta da due mesi: Shanghai ha perso il 2,2% e Shanzhen il 2,9%. Per la borsa di Hong Kong la flessione è del 2,3%.
La flessione delle azioni delle società dei chip è generalizzata: la tedesca Infineon ha perso il 2,3%, le olandesi Asml, Asmi e Besi hanno subito flessioni comprese fra il 3 e il 4%. Le americane Nvidia, Intel, Qualcomm e Micron Technology sono scese di oltre l’1% negli scambi prima dell’apertura.
Michael Hewson, chief markets analyst di Cmc Markets Uk sentito da Reuters, ha detto che le deteriorate prospettive per il commercio in Asia pesano sul settore dei semiconduttori: se si creano ostacoli nel libero fluire delle merci a causa del braccio di ferro Usa-Cina, la vendita di chip, che in parte rilevante si fa a Taiwan, sarà necessariamente penalizzata.
L’impatto sui titoli, invece, dovrebbe essere temporaneo, dicono gli esperti.
La nuova misura di Biden contro i chip cinesi
I chip come tecnologia strategica stanno tornando protagonisti delle strategie della Casa Bianca: gli Stati Uniti stanno valutando un divieto delle esportazioni verso la Cina delle attrezzature necessarie alla fabbricazione dei chip Nand avanzati, quelli con più di 128 layer.
La manovra è ancora in fase di valutazione da parte dell’amministrazione di Joe Biden. Se approvata, diventerebbe il primo veto americano all’export di tecnologie verso la Cina che non hanno specifiche applicazioni militari.
La complessa “questione Taiwan”
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Repubblica di Cina, che era nelle mani del Guomindang (Gmd), il partito nazionalista retto da Chiang Kai-shek, fu al centro di una guerra civile da cui il Gmd risultò sconfitto (nel 1949) dall’opposto Partito comunista di Mao. Chiang Kai-shek si ritirò a Taiwan e da allora tanto Taipei quanto Pechino hanno sempre rivendicato di essere l’unico legittimo governo della Cina.
Pechino ritiene Taiwan una sua provincia ribelle e si è sempre opposta alla sua indipendenza de jure (come ratificato nella legge antisecessione del 2005), dichiarandosi disposta a un’invasione dell’isola in caso Taipei scegliesse di mutare lo status quo in questa direzione. La posizione, ufficialmente condivisa dai due paesi, considera Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese come parti di un medesimo stato, ma non è accettata da tutte le principali forze partitiche taiwanesi ed è fonte di tensioni politiche interne a Taiwan e con la Cina.
Il rapporto con gli Usa è regolato dal Taiwan Relations Act, un documento del 1979 del Congresso americano, approvato contestualmente alla ripresa ufficiale dei rapporti di Washington con la Repubblica Popolare Cinese, in cui venne ribadita la volontà statunitense di mantenere legami culturali e commerciali con Taiwan. Il documento esplicitava inoltre che gli Usa avrebbero considerato qualsiasi tentativo non pacifico di risolvere lo status di Taiwan. come una minaccia alla pace e alla sicurezza dell’area del Pacifico occidentale, e autorizzava gli Usa alla vendita e alla fornitura di armi di tipo difensivo a Taipei (fonte: Enciclopedia Treccani).