Chip, una casella sempre più minata dello scacchiere geopolitico. Questa volta è l’atavico duello Usa–Cina a tenere banco: da un lato con il governo di Pechino che aumenta i supporti a favore di un settore considerato una pietra angolare della sua potenza tecnologica; dall’altro Washington, che incrementa le pressioni per restringere le esportazioni verso la Cina di apparecchiature utilizzate per produrre semiconduttori e per esportare chip avanzati.
Che il comparto sia sull’orlo di un riassetto globale suona a questo punto un’ipotesi plausibile.
I supporti di Pechino alla produzione domestica
Secondo alcune fonti, la Cina starebbe lavorando a un pacchetto di supporto da oltre 1 trilione di yuan (143 miliardi di dollari) per la sua industria dei semiconduttori, tentando così un passo importante verso l’autosufficienza nei chip e per contrastare le mosse statunitensi volte a rallentare i suoi progressi tecnologici. Pechino prevede di lanciare quello che sarà uno dei suoi più grandi pacchetti di incentivi fiscali in cinque anni, principalmente sotto forma di sussidi e crediti d’imposta per rafforzare la produzione di semiconduttori e le attività di ricerca in patria.
Il piano, che include anche politiche fiscali preferenziali per l’industria dei semiconduttori del Paese, potrebbe essere attuato già dal primo trimestre del prossimo anno: la maggior parte dell’assistenza finanziaria verrebbe utilizzata per sovvenzionare gli acquisti di apparecchiature da parte di aziende cinesi, principalmente per impianti domestici di fabbricazione di semiconduttori. Tali società avrebbero diritto a un sussidio del 20% sul costo degli acquisti.
Autosufficienza nella tecnologia l’obiettivo di Xi
I beneficiari dell’iniziativa saranno sia imprese statali sia aziende private del settore, in particolare grandi aziende di apparecchiature per semiconduttori come Naura Technology Group, Advanced Micro-Fabrication Equipment China e Kingsemi.
Il raggiungimento dell’autosufficienza nella tecnologia è stato posto in primo piano nel rapporto di lavoro completo del presidente Xi Jinping al Congresso del Partito Comunista di ottobre, quando il termine “tecnologia” è stato citato 40 volte, rispetto alle 17 volte del rapporto del congresso del 2017. La Cina è rimasta a lungo indietro rispetto al resto del mondo nel settore delle apparecchiature per la produzione di chip, che rimane dominato da società con sede negli Stati Uniti, in Giappone e nei Paesi Bassi. Negli ultimi vent’anni sono emerse numerose aziende nazionali cinesi, ma la maggior parte rimane indietro rispetto ai rivali in termini di capacità di produrre chip avanzati.
Dagli Usa limitazioni alle esportazioni in Cina
Dall’altra parte dell’Oceano, intanto, gli Stati Uniti sono in contatto con una serie di partner internazionali, inclusi i Paesi Bassi e il Giappone, per limitare ulteriormente le esportazioni di microchip dai Paesi occidentali alla Cina. A rivelarlo è stato il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, durante un briefing alla Casa Bianca. Le sue dichiarazioni arrivano dopo che diversi organi della stampa Usa hanno riferito, citando fonti anonime, che le autorità di Tokyo e Amsterdam avrebbero acconsentito “in linea di principio” a limitare le esportazioni di macchinari per la produzione di chip avanzati verso la Cina.
I limiti statunitensi alle esportazioni di chip verso la Cina sono l’ultima scossa che spinge le aziende a prendere in considerazione l’idea di spostare alcune delle loro capacità di produzione di chip nei vicini Vietnam e India.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre licenze per esportare semiconduttori avanzati o relative apparecchiature di produzione in Cina. Le aziende sottoposte al vincolo hanno anche bisogno dell’approvazione di Washington se utilizzano apparecchiature americane per produrre chip specifici di fascia alta da vendere in Cina.
Produttori sempre più attratti dal Sud-est asiatico
Le imposizioni rappresentano solo gli ultimi di una serie di sconvolgimenti che stanno coinvolgendo l’industria globale dei semiconduttori, un giro da circa 600 miliardi di dollari. Negli ultimi anni, i produttori di chip che un tempo erano attratti dalla competitività della Cina nella produzione di chip hanno dovuto affrontare l’aumento del costo del lavoro in Cina, le interruzioni della catena di approvvigionamento dovute alle restrizioni del Covid-19 e l’aumento del rischio geopolitico. Questi produttori focalizzati sulla Cina stanno ora trovando nuovo slancio per replicare quelle linee di produzione altrove.
Considerato che l’ammortamento delle attrezzature è il costo più elevato per loro, questi produttori vorrebbero trasferirsi nelle vicinanze in modo che la produzione e i rendimenti possano essere il più efficienti possibile. In questo quadro, il Sud-est asiatico è diventato una scelta naturale per le fabbriche che cercano di trasferirsi al di fuori della Cina: la zona, con Vietnam, India e Singapore in testa, è infatti percepita come più attraente anche grazie alla sua neutralità davanti le tensioni commerciali in corso tra Stati Uniti e Cina.
Vietnam ricco di potenzialità, India meno attraente
Il Vietnam, in particolare, è emerso come base di produzione alternativa alla Cina dopo aver investito miliardi di dollari in investimenti per creare centri di ricerca e istruzione, cosa che ha attirando i principali produttori di chip. Samsung stessa si è impegnata a investire altri 3,3 miliardi di dollari nel Paese del sud-est asiatico quest’anno, con l’intento di produrre componenti per chip entro luglio 2023.
Anche l’India sta emergendo come base di produzione per questi produttori di chip, poiché dispone di un pool crescente di talenti nella progettazione di microprocessori, sottosistemi di memoria e progettazione di chip analogici. La manodopera è abbondante e anche i costi sono bassi. Tuttavia, la mancanza di capacità produttive del paese ne attenua l’attrattiva.
Ma la leadership resta della Cina
Nonostante la crescente attrattiva dell’Asia per i produttori di chip, gli esperti sottolineano che la Cina mantiene ancora un vantaggio sulle economie regionali in termini di competitività nella produzione di chip. Oggi il Paese è ancora uno dei principali attori e un importante produttore di semiconduttori, in particolare per i chip di fascia bassa. Secondo alcune stime, la Cina deterrebbe una quota di mercato di circa il 16% della capacità di produzione globale di semiconduttori, davanti agli Stati Uniti ma dietro a Corea del Sud e Taiwan.
Ibm, partnership con la giapponese Rapidus
Intanto, nel pieno dello scontro per il primato tecnologico tra Stati Uniti e Cina, e degli sforzi del Giappone per recuperare la propria centralità in un settore nel quale da decenni ha ormai perso il primato, arriva la notizia della partnership stretta fra il colosso statunitense dell’elettronica Ibm Corp e Rapidus, nuovo costruttore di microchip sostenuto dal governo giapponese, per la produzione di semiconduttori all’avanguardia.
Il governo del Giappone ha annunciato il mese scorso un investimento iniziale di 500 milioni di dollari in Rapidus, un’impresa per la produzione di microchip guidata dalle compagnie tecnologiche Sony Group e Nec Corp. L’obiettivo di Ibm e Rapidus è di produrre chip a due nanometri.