Ancora un altro record per Uber. L’app degli autisti è stata in grado di raccogliere finanziamenti per 10 miliardi di dollari. Senza essersi ancora affacciata sul mercato azionario attraverso un collocamento, tra linee di credito dirette e raccolte di liquidi in forma di partecipazione al capitale, Uber ha raggiunto livelli di finanziamento che neppure Google e Facebook, prima di diventare società quotate, avevano sperimentato.
La notizia, apparsa sul sito del Financial Times e ripresa da Repubblica.it, ricorda come la sfida per Uber sia di affrontare la difficile situazione regolatoria, ma anche di competere con una crescente pattuglia di competitor ed espandersi a livello globale, senza dimenticare l’innovazione tecnologica che passa – ad esempio – attraverso le macchine che si guidano da sé.
L’ultimo aggiornamento riguarda il fatto che Uber è vicina a siglare un finanziamento da 2 miliardi di dollari da un gruppo di istituti finanziari che comprende colossi come Morgan Stanley, Goldman Sachs e Deutsche Bank. Una fonte ha confermato questo piano, precisando che l’erogazione è stata ben superiore alle iniziali richieste per 1 miliardo di credito. L’accordo giunge per altro mentre la start up di San Francisco sta cercando di chiudere un finanziamento in equity per 1,5 miliardi di dollari, che ne proietterebbe la valutazione a quota 50 miliardi; come non bastasse, questa settimana la società si siederà ad altri tavoli per valutare nuove risorse per spingere sulla crescita in Cina, dove Uber vuole investire 1 miliardo.
Se completate positivamente, conclude l’Ft, queste trattative potrebbero portare altri 4 miliardi o più ai 5,9 miliardi raccolti da quando è stata fondata, nel 2010. Sembra quindi difficile vedere in questi processi i riflessi dei timori che molti esperti sollevano in merito alle valutazioni eccessive per le compagnie del tech. In una recente analisi, Dan Roarty di AB ha parlato di una “bolla di finanziamenti” che pare bene esemplificata dalla dinamica di Uber. Probabile, però, che i finanziatori si siano garantiti importanti clausole per non restare scottati: dalla priorità nel liquidare l’investimento rispetto agli azionisti comuni, alla possibilità (per le banche) di partecipare all’Ipo nel ruolo di consulenti, con le relative commissioni da incassare.