Le autorità cinesi impongono la rimozione di software sicuri, soprattutto le app di messaggistica come Whatsapp e Telegram, dai telefoni dei cittadini per poter monitorare l’uso degli smartphone. La denuncia dell’ultima pratica di censura perpetuata da Pechino arriva dalla Electronic Frontier Foundation (Eff), fondazione da sempre attiva nella difesa della privacy.
Il caso è sorto nella provincia dello Xinjiang, dove alcuni cittadini hanno vissuto un’interruzione improvvisa del servizio telefonico che li ha spinti a rivolgersi alla polizia. Le forze dell’ordine ha risposto spiegando che il blocco era scattato dopo la scoperta di un uso delle reti private virtuali (Vpn) o di download delle app di messaggistica istantanea. Con il ricatto di dover rimuovere i software incriminati per riavere la connessione.
Il Grande Fratello cinese continua insomma a esplorare nuovi ambiti di censura e sembra aver puntato dritto su Whatsapp e Telegram, due applicazioni spesso considerate come software al riparo da controlli indesiderati.
Ma non è tutto: secondo Eff la polizia della provincia, patria della minoranza musulmana Uigura e già nota alle cronache per altri episodi di repressione, è arrivata anche a chiedere di visionare i telefoni cellulari duranti i posti di blocco e all’occorrenza a sequestrarli, pur in assenza di prove di un loro uso illegittimo.
Del resto, si sa che la Cina non brilla certo per libertà di stampa e informazione: il Word Press Freedom Index elaborato da Reporters Sans Frontieres colloca infatti il paese asiatico al 176esimo posto su 180 paesi monitorati, prima solo di Siria, Turkmenistan, Corea ed Eitrea.