CINEMA

Cinema digitale, è già countdown

Da gennaio 2013 le major diranno addio alla pellicola spianando la strada all’innovazione delle sale. Ma l’industria europea è pronta al salto tecnologico?

Pubblicato il 29 Giu 2012

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L’industria cinematografica europea vede avvicinarsi inesorabilmente lo switch off definitivo dalla pellicola analogica al supporto digitale. Il punto di non ritorno, tipping point, è stato raggiunto lo scorso gennaio con il superamento del 50% di schermi digitalizzati in Europa (per la precisione il 52% pari a 18.500 schermi) che rappresentano oltre il 70% dei biglietti staccati. A questo si aggiunge poi l’annuncio da parte delle majors americane del definitivo abbandono della pellicola analogica a partire dal gennaio 2013.

Ma l’industria cinematografica europea è pronta ad affrontare il passaggio tecnologico? L’industry ed i governi nazionali hanno messo in atto tutti gli strumenti necessari per accompagnare l’intero sistema delle sale cinematografiche nel nuovo mondo digitale? Il passaggio tecnologico da grande opportunità di crescita ed arricchimento del modello di business rischia di essere una causa di impoverimento del cinema europeo?

L’Italia per numero di sale e schermi digitalizzati è in leggero ritardo rispetto alla media europea, con 1.700 schermi digitali e oltre 2.100 da digitalizzare. Ma al di là del numero di schermi digitalizzati, sia in Italia che in Europa i problemi si presentano nel momento in cui si va ad analizzare la tipologia degli schermi finora digitalizzati.
I dati forniti da Media Salles indicano sì una forte accelerazione nel processo di digitalizzazione con un incremento del 79% di schermi nel 2011 rispetto all’anno prima, ma le tipologie di schermi vedono i multiplex digitalizzati ormai per oltre il 90% mentre i monoschermi sono fermi all’11% ed i piccoli miniplex al 39%.


I 7.000 monoschermi europei rappresentano il 20% del totale e la loro bassissima digitalizzazione rappresenta un allarme sociale e culturale, sia per il rischio di impoverimento delle comunità rurali e dei piccoli centri urbani dove maggiore è la presenza di monoschermi, sia per la diffusione di opere cinematografiche europee e d’autore che proprio in questa tipologia di sala vedono il maggior canale di diffusione.


Finora gli strumenti messi in campo per aiutare la digitalizzazione delle sale sia da parte dei governi che da parte dell’industria hanno di fatto creato un digital divide per i piccoli cinema indipendenti. L’incentivo dato dalle majors basato sul modello del Vpf (Virtual Print Fee), un bonus economico per chi trasmetteva film in digitale, ha sostanzialmente aiutato le sale dei multiplex che proiettavano film americani. L’introduzione del 3D nel corso del 2009/2010 ha rappresentato la vera killer application per incrementare la digitalizzazione degli schermi anch’esso ad esclusivo vantaggio dei multiplex spinti dalle majors americane e dal successo del film “Avatar”.


Gli aiuti pubblici a partire dal 2010 hanno intensificato il proprio sostegno con una molteplicità di formule di incentivo: da un Vpf pubblico per le sale a scarso valore commerciale, a finanziamenti a fondo perduto o ad agevolazioni fiscali come il Tax credit italiano.
Ma a parte l’ottima performance dei paesi scandinavi, con la Norvegia che nel 2011 ha raggiunto la completa digitalizzazione degli schermi, negli altri paesi il digital divide rappresenta oggi il vero problema. Tanto che il Parlamento europeo in una risoluzione votata all’unanimità nell’ottobre 2011 ha messo nero su bianco tutti i rischi di impoverimento della cultura cinematografica europea dovuta al ritardo nella digitalizzazione dei cinema d’essai e delle sale monoschermo presenti nei piccoli centri urbani e nelle zone rurali.


Il Parlamento europeo invita la Commissione Ue e gli Stati membri ad istituire programmi europei e nazionali per sostenere la transizione al digitale entro il più breve tempo possibile e ricordando che il modello commerciale Vpf “è adatto alle grandi reti di sale cinematografiche, ma non rappresenta una soluzione ottimale per i cinema piccoli e indipendenti” tanto da poter “anche ostacolare la diversità culturale”.

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