Grosso guaio a Chinatown. La nuvola cinese entra in crisi per via di un malaffare. Un pasticciaccio brutto che coinvolge una delle prime azienda cinesi che si troverà a non poter ripagare i bond emessi per finanziare la crescita, segnale di una economia che forse non gira sempre a pieno regime.
Protagonista è l’aspirante regina della nuvola cinese, Cloud Live Technology Group, che segnala l’incapacità di ripagare i 240 milioni di Yuan (circa 36 milioni di euro) di obbligazioni emesse per finanziare la svolta strategica mirante a giocare un ruolo di punta nella nuvola cinese. Ribattezzata la nuova Ali Babà alla pechinese, l’azienda ha una storia particolare: sino a un anno fa si chiamava Beijing Xiangeqing Group Co ed era una catena di 18 ristoranti specializzati in delikatessen come la testa di pesce e guidata da un carismatico imprenditore, Meng Kai, accusato dalla Consob cinese di aver violato una serie di normative sull’emissione di titoli e che si è trovato costretto a dimettersi lo scorso gennaio dal vertice dell’azienda.
Cloud Live, dal dubbio piano industriale e con un passato alquanto differente rispetto agli obiettivi della nuova veste aziendale, è al 23% di proprietà di Kai, che si è visto congelare tutti gli asset patrimoniali. Ma non è la prima azineda cinese a rischiare il default: olter ai 160 milioni di Yuan raccolti per ripagare parte dei 400 milioni di debiti accumulati tre anni fa nel mercato della ristorazione, infatti, ci sono altri nomi alla sbarra, finora sempre protetti dallo stato per evitare che i nuovi risparmiatori cinesi possano essere punti dalle spine oltre ad approfittare del profumo del capitalismo Made in China: Xuzhou Zhongsen Tonghao New Board Co l’anno scorso è tecnicamente fallita ma il governo ha pagato la copertura di tutti i bond emessi, mentre il mercato dei bond cinesi, guidati dal comparto della tecnologia (da qui l’idea di speculatori come Kai di entrare nell’arena privi però di competenze imprenditoriali e tecniche) è pari a circa 696 miliardi di yuan nel 2014, in crescita rispetto ai 475 miliardi dell’anno prima del 46%. Da qui il timore di un crollo della fiducia da parte dei risparmiatori che potrebbe avere conseguenze catastrofiche sulla crescita del paese.