Il “carrozzone” pubblico accusato sempre più spesso di sprechi e inefficienze si sta accorgendo delle opportunità offerte dalla “nuvola”. Anche se localismi e scarsa propensione all’innovazione frenano gli investimenti. La tendenza emerge dai dati raccolti dall’Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano diretto da Mariano Corso, professore ordinario alla facoltà di Ingegneria dei sistemi dell’ateneo lombardo. Una fotografia sulla diffusione della “nuvola” nella Pubblica amministrazione italiana scattata proprio alla vigilia dell’edizione 2012 del Forum PA, in cui Agenda digitale e virtualizzazione di archivi e procedure giocano un ruolo centrale.
Professor Corso, qual è lo stato di salute del cloud computing all’interno della Pubblica amministrazione?
Le grandi realtà della PA stanno cominciando, se non a investire, almeno a sperimentare. C’è ancora un atteggiamento di chiusura ma non mancano gli esempi positivi. Nel settore della sanità, in cui l’archiviazione e la condivisione dei dati tra più enti è essenziale, l’8% delle strutture pubbliche utilizza cloud infrastrutturali mentre un altro 3% li adotta in via sperimentale. Il 48% delle strutture, però, dichiara di non avere alcun interesse al cloud, dato compensato dal restante 41% che ne sta valutando l’introduzione o è interessato. Se invece dei data center prendiamo in considerazione i servizi il discorso cambia. Il 21% delle aziende pubbliche di sanità è già in possesso di tecnologie del tipo Software as a Service.
Il privato è in vantaggio sul pubblico. Qual è la misura di questo scarto?
Prendendo in considerazione un campione di 168 organizzazioni il dato che emerge è che il 70% delle aziende italiane utilizza software on the cloud. Ad aver virtualizzato i data center è invece il 59%, di cui il 10% in via sperimentale.Un rapporto di sei a uno rispetto al pubblico. Basti pensare che la tipologia Platform as a Service è adottata solo dal 5% delle strutture pubbliche. Nel privato la percentuale schizza al 35.
Quali sono i vantaggi per gli enti che innovano?
Innanzitutto possono ridurre del 35% i costi di energia e manutenzione dei data center. In Italia sono 400 i grandi archivi della PA che potrebbero riunire la loro capacità elaborativa. Si tratta di una risorsa che il cittadino non vede, ma paga. Una grande amministrazione impiega circa due anni a razionalizzare e interconnettere gli archivi. I benefici in termini di risparmio ed efficienza, però, sono immediati.
E dunque la riduzione dello spreco delle risorse fisiche dovrebbe essere il primo obiettivo della PA?
Sì, e i cittadini vedrebbero anche un miglioramento del servizio. Comuni, scuole e ospedali hanno procedure simili tra loro e potrebbero accedere alle applicazioni di un unico cloud. Oltretutto senza considerare il fatto che utilizzando Software as a Service gli enti dovrebbero essere dotati di hardware meno costoso.
Cosa impedisce al settore pubblico di innovare?
Gli ostacoli non sono soltanto tecnologici, ma soprattutto di volontà politica. La larghezza della banda è un problema che impedisce ad alcuni cittadini di ricevere i servizi della Pubblica amministrazione. Di fatto però viene usata come alibi per giustificare la mancanza di coraggio soprattutto da parte delle piccole realtà che spesso non hanno competenze specifiche nell’IT. Eppure sarebbero loro a godere dei maggiori benefici economici in termini di risparmio, mentre la condivisione dei processi favorirebbe l’interconnessione e la qualità dei servizi di scuole, comuni, ospedali. E spesso anche l’offerta è inadeguata.
In che senso?
Le aziende medio-piccole di IT preferiscono guadagnare vendendo computer, licenze e software piuttosto che fare attività di cloud broker, cioè offrire soluzioni innovative alle realtà locali. Eppure l’intermediazione tra le esigenze della PA e i servizi del cloud provider è un’opportunità per le Pmi. L’81% di aziende che ha cambiato la propria offerta in servizi cloud ha visto aumentare la propria marginalità.
Le tecnologie cloud possono rendere il “Palazzo” più “trasparente”?
Sono diverse le iniziative in atto in questo senso. In Friuli le istituzioni stanno lavorando a progetti di open data per rendere disponibili ai cittadini i documenti della pubblica amministrazione. La Provincia autonoma di Bolzano sta facendo lo stesso con i dati del demanio e la geolocalizzazione del territorio.
Trasparenza che deve fare sempre rima con sicurezza.
L’Autorità garante della privacy è presente a ogni tavolo e il suo ruolo è fondamentale. Ad esempio è necessario stabilire a quali dati del fascicolo sanitario elettronico di un paziente può accedere il medico di famiglia. Le questioni sul tavolo sono tante. Ma i vantaggi sono ancora di più.