“Così Netflix ha stravolto l’audiovideo italiano. E siamo solo all’inzio”

Francesco Marrazzo, docente di web marketing e new media all’Università Federico II di Napoli, esce in libreria con un saggio sull’Ott californiano. A CorCom spiega gli effetti disruptive di un business model che sta obbligando il mercato a ripensare le logiche tradizionali

Pubblicato il 05 Mag 2016

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L’ingresso di Netflix sul mercato italiano ha creato più di qualche sconvolgimento e non lo si scopre certo ora. Uno sbarco che ha costretto la concorrenza a spingere sulle nuove frontiere della over-the-top (OTT) television e l’accordo sulla futura piattaforma pan-europea targata Mediaset-Vivendi ne è una prova.

Francesco Marrazzo, docente di web marketing e new media all’Università Federico II di Napoli, nel suo ultimo libro, “Effetto Netflix. Il nuovo paradigma televisivo”, traccia un primo bilancio dell’arrivo del player californiano in terra italiana, guardando non solo alle nuove modalità di consumo dei contenuti audiovisivi in Rete, quanto alla vera e propria svolta paradigmatica introdotta dalla tv globale californiana nel modo di fare e concepire televisione. Conseguenze di un business model che, nell’intervista a CorCom, Marrazzo delinea nelle sue componenti principali, spiegando anche quale ruolo potrebbero avere la Rai e le telco in uno scenario di convergenza sempre più marcato tra reti e contenuti.

Nel titolo del suo libro lei descrive Netflix come il nuovo paradigma televisivo. Quali sono gli elementi della strategia che rendono questo OTT uno dei player più innovativo del panorama globale della Tv, se non il più innovativo?

Netflix è sicuramente il simbolo globale della nuova over-the-top television. Ciò che distingue questo modello dalle oltre forme di tv online, al di là del carattere aperto, della fruizione multi-schermo e della formula a pagamento, è il fatto di basarsi non più sul palinsesto, ma sull’algoritmo. Ciò permette di restituire a ogni utente una homepage personalizzata sulla base dei singoli gusti e, non a caso, Netflix chiede in fase di iscrizione 3 serie o film preferiti con cui indirizzare la ricerca delle preferenze. Così facendo, Netflix traccia l’evoluzione delle abitudini di consumo, costruendo profili globali e orientando la produzione di serie originali. L’approccio di Netflix alla tv online è comune alle altre grandi piattaforme digitali, che sfruttano il dato dell’utente e lo valorizzano per implementare il proprio business. Così fanno i social network, Amazon, Google e altri big. Per Netflix questa è una chiave di volta ancor più accentuata e non a caso la compagnia dedica 300 persone e 150 milioni di dollari l’anno alla divisione che studia gli algoritmi.

Netflix ha una propria rete Cdn per la gestione dei contenuti. Perché è importante mantenere la sovranità su questa piattaforma?

Al contrario di Youtube, che aggrega video degli utenti e fa attività editoriale minima come l’organizzazione in canali, Netflix vuole dara un’impronta chiara al proprio lavoro. Se a livello tecnico si serve molto del cloud di Amazon, dimostrando un’apertura alla collaborazione e alla coopetition con altre imprese di settori uguali o affini, rispetto ai contenuti il colosso di Hastings tende a marchiare i propri prodotti dal punto di vista editoriale. Per far ciò ha spinto sulla produzione di contenuti originali, e ha iniziato a collaborare anche con imprese e realtà produttive oltre Oceano (in Francia, Germania, Italia).

Rispetto all’Italia, dove Netflix è arrivata a ottobre, dobbiamo aspettarci una penetrazione rapida come avvenuto altrove o ci sono degli ostacoli che potrebbero frenare questo processo?

I limiti non mancano e non a caso ho intitolato un paragrafo del libro, con riferimento all’Italia, ‘Non è un Paese per Netflix’. Questi aspetti riguardano la banda larga, anche e soprattutto sul versante della domanda dei consumatori, la pirateria, nella lotta contro la quale comunque l’Italia sta facendo passi avanti. Ma c’è anche il problema linguistico: gli italiani che guardano serie in lingua originale o sottotitolate sono pochissimi. Al contempo ci sono però fattori che remano a favore dell’OTT, come ad esempio il fatto che l’Italia fin dagli anni ’80 è abituata a seguire in tv serie d’importazione. I dati diffusi dalla stampa italiana riportano 280mila abbonati a Netflix dei quali solo 110mila paganti, che sono in linea con quelli di Germania e Francia. Paesi che dovrebbero in teoria avere una maggiore propensione all’adozione di servizi OTT

Netflix spingerà sempre più sulla produzione esclusiva di contenuti originali. In che modo questo business può stimolare l’innovazione del mercato audio-televisivo italiano?

Può fungere da passepartout per tante aziende e giovani professionisti e produttori per crescere e confrontarsi sul mercato con un’ottica globale, superando una logica domestica. Non solo con Netflix, ma anche con la futura piattaforma mediterranea di Mediaset e Vivendi e quelle che devono ancora nascere. Gli stessi produttori sono consapevoli che questo sia il momento giusto per far breccia negli operatori internazionali.

Ha citato il nuovo tandem Mediaset-Vivendi. Il patron di Netflix ha commentato l’accordo italo-francese affermando di non aver alcuna paura. Da cosa è dettata questa sicurezza?

Netflix in Italia ha un obiettivo dichiarato ambizioso: coprire il 25-30% della popolazione entro 7 anni. Hastings è cosciente del fatto che più le piattaforme di video-streaming e le nuove modalità di consumo audio-televisivo si diffondono, più possibilità ci sono anche e soprattutto per Netflix. Senza calcolare che come in America, è possibile abbonarsi a più piattaforme contemporaneamente: i prezzi contenuti lo consentono.

Nel suo libro lei affronta la questione della convergenza tra rete e contenuti e questo tema riguarderà anche la Rai. Sotto questo punto di vista, il Servizio Pubblico ha qualcosa da rubare dalla strategia degli OTT?

Gli operatori italiani hanno affrontato l’arrivo di Netflix in 3 modi diversi. La prima è quella di Telecom Italia, che si presenta come una piattaforma aperta e neutrale che può ospitare contenuti diversi. La telco offre ad esempio abbonamenti che includono sia il proprio servizio on demand Tim Vision sia Netflix. Mediaset invece chiede con insistenza una certezza regolamentare sulle regole d’ingaggio del mondo televisivo tra online e offline. Infine la Rai, che con la nascita della divisione digital e i primi progetti in tandem con Netflix, come la produzione di Suburra, sta mostrando una forte ricerca dell’identità digitale. I tentativi fatti finora dal Servizio Pubblico (Ray) non hanno prodotto un grande successo, quindi è giusto accelerare anche per diffondere una cultura digital in azienda.

Prima ha citato Telecom Italia. Che ruolo potrebbero avere le telco in questo contesto?

L’epoca in cui le telco volevano avvicinarsi in modo pressante al mondo dei contenuti sembra finita. Oggi tutte sanno di poter collaborare con le piattaforme di distribuzione, facilitando l’esperienza dell’utente magari dal punto di vista tecnico o gestionale, rivestendo così un ruolo decisivo, ma non sulla produzione o nella fase di confezionamento, quanto piuttosto nella distribuzione e soprattutto nella vendita degli abbonamenti.

Nella tv del futuro che ruolo avrà l’Auditel?

Se il mondo tv del palinsesto ruotava intorno agli indici di ascolto per quanto riguarda misurazione del proprio successo e al prime time per schierare i propri assi nella manica, con Netflix cambiano entrambi i modelli, anche perché ognuno può vedere le serie tv quando vuole. Netflix nella sua penultima trimestrale ha reso noto che il 30% del traffico online in USA nelle ore di picco si concentra sulla sua piattaforma, facendo un confronto non tanto con i dati relativi alle altre tv quanto con le altre piattaforme digitali..

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