Si è svolta oggi a Roma la seconda edizione del convegno Strategie per la Crescita Digitale del Sistema Paese, promosso da Noovle (l’azienda di consulenza strategica specializzata nelle soluzioni cloud e tecnologie innovative) e realizzato con la collaborazione di CorCom e ForumPA. Occasione di confronto tra attori pubblici e privati per misurare gli effetti economici, sociali e culturali della trasformazione digitale, l’evento si inserisce negli appuntamenti del progetto Crescita Digitale che concentra, all’interno della sua Rete, i principali protagonisti dell‘innovazione del nostro paese. Tre le sessioni che hanno posto l’accento su altrettanti settori-traino del cambiamento – Sanità digitale, Industria 4.0 e Smart city – ma unico l’obiettivo, come ha sottolineatto Paolo Vannuzzi, Co-founder e Ceo di Noovle: “Passare dal pensare al fare, con un ulteriore passo in avanti dopo la fase dell’ascolto e dell’analisi di modelli e esigenze portata avanti lo scorso anno”.
Per garantire la competitività delle imprese e creare un ambiente favorevole all’innovazione occorre supportare nuove idee e start-up in grado di far crescere tutto il sistema imprenditoriale, ha continuato Vannuzzi: “Crescita digitale significa anche far diventare realtà le idee del futuro”. Per questo, nel corso del convegno è stata presentata la Key Factory, un acceleratore per start-up frutto della collaborazione fra Noovle e le tecnologie di Google (di cui Noovle è partner dal 2005) e Key Capital, venture incubator italiano. Key Factory è un incubatore di business indipendente, una struttura lessibile e concreta, in grado di assistere lo sviluppo delle start-up in cerca di seed funding con una molteplicità di servizi. “Siamo il partner ideale per le aziende che hanno idee innovative da sviluppare e concretizzare”, ha dichiarato Piergiorgio De Campo, Co-founder e Direttore generale di Noovle. “Per noi la tecnologia è il fattore abilitante, insieme a visione strategica, competenza e capacità consulenziale”.
L’idea è di dare impulso all’innovazione favorendo la creazione di un ecosistema digitale in Italia e questo vale non solo per le imprese nascenti ma anche per quelle consolidate, o le pubbliche amministrazioni. I 16 relatori, provenienti da politica, istituzioni, imprese e università, che si sono alternati sul palco dell’evento Noovle hanno tutti insistito sulla necessità di fare rete e mettere a sistema le conoscenze, oltre che di potenziare le competenze e stimolare il cambio di marcia culturale. Le tecnologie ci sono: nelle tre sessioni moderate da Gildo Campesato, direttore di CorCom, e Carlo Mochi Sismondi, Presidente FPA, non sono mancati i riferimento a intelligenza artificiale, machine learning, realtà aumentata, tecniche di co-designing, smart roads. E se l’Italia – soprattutto nel settore della Pubbllica amministrazione – ha ancora un ritardo da colmare, gli stakeholder italiani, tanto nel pubblico come nel privato, sono ormai pronti a cogliere le opportunità della digital transformation che non vuol dire solo implementare il cloud o comunicare su mobile ma adotcreare servizi semplici che gli utenti usano.
“I confini tra pubblico e privato sono spezzati, i settori oggi devono lavorare tutti insieme tra loro e con il mondo della ricerca e della società civile: per questo il piano triennale Agid 2017-2019 è stato definito con l’apporto di tutti gli stakeholder”, ha sottolineato Francesco Tortorelli, dirigente responsabile Direzione Pubblica amministrazione e vigilanza di Agid. “Sicurezza e gestione dei dati sono le nostre sfide: sulla sicurezza Agid ha investito 18 milioni di euro e sull’intelligenza artificiale ha già avviato un gruppo di lavoro”.
Poche le risorse e non adeguate le competenze per rendere la Pubblica amministrazione moderna, ma l’Italia si è messa in moto: su questi punti ha insistito Mariano Corso, docente del Politecnico di Milano, tracciando uno scenario all’avvio della sessione sulla Sanità digitale. Manca ancora la visione strategica e sistemica della trasformazione dei processi ma la sanità digitale pian piano avanza, anche dietro la spinta dell’utente finale, che chiede nuove forme di interazione col sistema sanitario e i suoi professionisti. Ma la spinta dell’utente finale (abituato a interagire tramite WhatsApp o a cercare informazioni mediche su Internet) non deve diventare improvvisazione: il “dottor google e l’infermiere facebook” sono alcune delle grandi sfide della digitalizzazione della sanità, ha osservato Sergio Pillon, Coordinatore della Commissione Tecnica Paritetica per lo sviluppo della telemedicina Nazionale del Ministero della Salute e direttore UOD Telemedicina dell’ospedale romano San Camillo-Forlanini.”La crescita digitale è un’opportunità ma va guidata per non cadere nel fai da te”, ha ammonito Pillon ricordando anche che l’Italia ha grandi competenze nella telemedicina tutte da sfruttare.
Sempre in ambito sanità, per Massimo Mangia, Responsabile eHealth Federsanità, è importante saper misurare il valore generato da investimenti nelle tecnologie digitali, perché il valore si traduce in capacità di attuare la trasformazione, mentre Lorenzo Sornaga, Responsabile Sistemi Centrali di Accesso per la Sanità, LAZIOcrea, ha sottolineato come il cambiamento avviene solo se percepito come utile e funzionale e non viene vissuto come imposizione dall’alto: “I processi di cambiamento devono essere ergonomici per chi li utilizza, medici e pazienti”. Proprio sull’input degli utenti finali è basato gran parte del suo caso di successo di smart hospital dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi illustrata dal Direttore Staff della Direzione Aziendale Andrea Belardinelli: “I progetti si devono confrontare con la realtà e noi abbiamo proceduto col criterio del servizio semplice e veloce”.
Sul tema della formazione ha insistito Enza Bruno Bossio, Componente Commissione Parlamentare Trasporti, Partito Democratico, all’apertura della sessione su Industria 4.0, ricordando che in discussione per la nuova legge di Stabilità ci sono anche nuove misure a favore dello sviluppo degli skill digitali, per completare un processo che il governo ha avviato puntando su infrastrutture e super ammortamenti per la digitalizzazione delle imprese, mentre in ottica di semplificazione la chiave sarà razionalizzare e mettere a fattor comune i dati della PA. “Spesso la classe politica viene percepita come impermeabile ai cambiamenti, ma c’è un gruppo di almeno un centinaio di deputati, di ogni partito, che si sta veramente impegnando sull’innovazione”, ha concluso la Bruno Bossio.
Il concetto di Industria 4.0 si applica naturalmente non solo alla grande industria ma a tutto il tessuto di piccole e medie imprese italiane ad alto contenuto creativo, come evidenziato da Tiziana Catarci, Professore Ordinario dell’Università La Sapienza : si tratta di quella “Creative industry” (moda, cibo, design, arredamento, e così via) che con la digitalizzazione ha una grande opportunità di raggiungere più efficacemente il mercato, anche con processi di co-design, interazione sui social, showroom digitali e strumenti che possono dare alle imprese con grande componente di “artigianalità” e Made in Italy la marcia in più.
Il cambiamento di Industria 4.0 va inteso come trasformazione el tessuto industriale in toto e dei processi e della cultura manageriale, ha sottolineato Cristiano Radaelli, Referente per il digitale, Gruppo Tecnico Europa Confindustria. “il vero salto da compiere è far vivere l’impresa dentro una supply chain con gestione connessa e strumenti digitali”, affrontando al tempo stesso temi nuovi come il rapporto con le macchine e l’intelligenza artificiale (che pone questioni di digital ethics) e creare competenze ad hoc: “Avere skills digitali non significa saper usare Facebook, ma trasformare i processi e creare nuovi modelli di business”.
Un caso concreto è stato illustrato da Luigi Franceschetti, Amministratore delegato della Saccheria Franceschetti: è la digitalizzazione che ha permesso alla storica azienda del bresciano di restare tra le uniche venti saccherie italiane in attività e l’unica che produce su territorio italiano. “La lezione che abbiamo imparato è questa: se non ti trasformi il mercato di punisce”, ha detto Franceschetti. “E senza semplificazione non c’è digitalizzazione: se fare impresa è troppo complicato per le pastoie burocratiche, le imprese se ne vanno”.
Le tecnologie sono la base per semplificare, è intervenuto Daryoush Goljahani, Google Cloud Head of Central and Southern Europe SI Partnerships: oggi sono tantissimi i device connessi e enormi i volumi di dati e saper gestire questi dati in modo efficace per il business è la base dell’innovazione d’impresa. “Non vogliamo confinare l’utente nei prodotti Google, le nostre tecnologie sono basate su piattaforme open source. Ma il Google cloud è fatto per evitare di mettere i dati in silos che non comunicano e per portare al mercato le tecnologie sotto forma di servizio gestito che liberano le aziende da oneri e costi superflui”.
Flavia Marzano, Assessora a Roma Semplice, Roma Capitale, ad aprire la sessione su Smart city: abbinare l’aggettivo semplice al nome della capitale è di per sé un ossimoro, ma l’amministrazione capitolina ci prova con un piano “organico”, che raccolga progetti verticali e orizzontali e tenga conto di tutti i city users: non solo residenti, ma pendolari, turisti, imprese, scuole, università. “Siamo già la città italiana con più servizi pronti su Spid, ma non vogliamo fermarci qui”, ha detto la Marzano.
Intanto la tecnologia digitale sta aiutando Ostia a superare quelle problematiche che ne hanno determinato due anni fa il commissariamento, come spiegato da Domenico Vulpiani, Prefetto Commissario Straordinario del X Municipio di Roma Capitale: dalla videosorveglianza al dialogo su social e mobile con cittadini e imprese fino all’utilizzo degli open data, innovare vuol migliorare la gestione del municipio; ulteriori progetti sono in cantiere, come l’assistenza e la consegna di farmaci a domicilio per chi soffre di patologie gravi.
Anche il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sta lavorando in ottica smart city, ha indicato Mario Nobile, Direttore Generale dei Sistemi Informativi del Mit ricordando il progetto smart road già partito con la collaborazione di Anas. “Ma l’obiettivo è portare le tecnologie digitali su tutte le aree di competenza del ministero, dagli aeroporti al trasporto pubblico locale”, ha affermato Nobile. “Compito del Mit è di definire gli standard funzionali ad alto livello, che sono mancati finora, non le tecnologie specifiche da utilizzare. Vogliamo inoltre creare, pur nel rispetto delle autonomie, una cornice nazionale per i progetti di digitalizzazione”, perché la frammentazione è nemica dell’innovazione.
Lo ha ribadito Giuseppe Pirlo, Referente dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro per l’Agenda digitale e le Smart city: “In nome delle autonomie spesso l’Italia non riesce a attuare le sue politiche in modo adeguato”: sì dunque all’approccio dal basso per includere nelle strategie gli input di ogni stakeholder, ma poi servono delle decisioni che valgono per tutti con approccio top down. Fondamentale anche superare la fase in cui l’eccellenza resta isolata a pochi casi di successo: occorre mettere a sistema i risultati e raggiungere un’innovazione pervasiva, che permette a tutti, start-up comprese, di crescere. Le università possono fare da motore del cambiamento rinnovando la propria offerta formativa, ha osservato Pirlo.
La base della digital transformation resta però la semplificazione. Come ha concluso Sabrina Sansonetti, Business executive Noovle, c’è ancora troppa complessità nei processi, troppa burocrazia nella Pubblica amministrazione, mentre oggi abbiamo bisogno di velocità. E’ un cambiamento culturale che richiede la collaborazione tra le persone ma anche il coinvolgimento emozionale: è solo così che l’innovazione, semplice e nel rispetto dei valori umani, diventa lo strumento per creare un mondo non solo più produttivo, ma dove vivere è più facile, sostenibile e inclusivo.