Una rete in fibra ultraveloce. E poi l’esercito di server, decine di milioni, nei datacenter che sono senza dubbio i più grandi del pianeta. E i software, costruiti internamente, per gestire la gigantesca macchina della casa della Grande G. Senza contare la lunghissima lista di azienda che usa i suoi servizi, i sistemi di gestione, le piattaforme a disposizione per chi sposta il suo business nella nuvola di Google.
È una vera e propria marea di particolari che in questi giorni sta emergendo attraverso una serie di interventi e dichiarazione più o meno casuali, almeno da un punto di vista apparente, di manager e dirigenti dell’azienda. Una conferenza a Taiwan assieme a HTC (da cui si apprende la nuova architettura dell’infrastruttura cloud di Google) oppure un incontro dove viene casualmente spiegato che la dorsale in fibra tra Stati Uniti ed Europa permette di spostare grandi quantità di dati in tempi inferiori a 100 millisecondi. Oppure il sistema di backup geografico che sposta i dati dei singoli utenti in nove differenti location ai “nove angoli del pianeta”. Oppure, ancora, informazioni sul sistema di storage e business intelligence, gli strumenti di analisi dei dati messi a disposizione dei clienti, e decine di altri particolari.
Dicevamo, fin troppo informazioni casuali per essere davvero tali. Il sapore invece è quello di una contro-offensiva rispetto all’ondata di metriche e dati che in questi ultimi due anni Amazon ha iniziato a rilasciare sui suoi web services. Il creatore del cloud – perché poi questo è il ruolo storico di Amazon – ha infatti da tempo deciso di non voler lasciare la presa sul mercato che non la caratterizza ma che costituisce a pieno titolo il vero “piano B” di Jeff Bezos. Da qui una offensiva di PR e informazioni che serve ad orientare la pubblica opinione e farle digerire l’idea che Amazon sia, nei fatti, il campione della nuvola.
Il campione che però se la deve vedere sostanzialmente con due più due avversari molto determinati sia nel settore B2C che in quello B2B. A partire da Google, ma anche da Microsoft, che con l’attuale Ceo Sanja Nadella punta tantissimo sulla nuvola “per prima”. E poi ovviamente Apple, che offre servizi sia ai privati che alle aziende e che potrebbe rivelare un più grande iPad (12 pollici di schermo e penna ottica) per muoversi magari in sinergia con Ibm e proporre una soluzione aziendale e servizi cloud dedicati assieme a Big Blue (come già le due aziende stanno facendo da alcuni mesi con app e il cloud di Ibm). Infine, Facebook, che tutti vedono come un attore limitato solo ai social media ma che in realtà nell’epoca della collaborazione e del teamworking ha la possibilità di creare cose molto interessanti anche nel segmento B2B con slogan come: “Visto che passate tanto tempo su Facebook “al lavoro”, perché non usarlo anche “per” lavoro?”.
E poi non bisogna dimenticare il quinto incomodo: Alibaba che dalla Cina si sta muovendo sempre più velocemente anche in Europa e negli Stati Uniti, con un DNA che è simile a quello di Google ed Ebay e che ha le potenzialità per conquistare molto più che non una semplice nicchia, se non altro per le sinergie con alcuni paesi europei, a partire dalla Germania con la quale ha avviato un forte dialogo ai livelli più alti (con la cancelliera Angela Merkel durante l’ultimo Cebit di Hannover).
Intanto Google, che rivela di avere 90 POP (Point of presence) nel mondo, contro i 53 di Amazon, continua non solo a costruire ma anche a mostrare un po’ di più quel che sta facendo. Rivelando di essere lei stessa la sua killer app sul mercato.