IL REPORT

Il cloud non è una passeggiata: costi e competenze (ancora) spine nel fianco

Secondo i risultati di un’indagine realizzata da Vanson Bourne per Nutanix il modello “ibrido” rappresenta la soluzione ottimale. Ma sono molte le aziende che evidenziano criticità nell’uso delle soluzioni dovute anche e soprattutto alla mancanza di adeguate skill

Pubblicato il 06 Ott 2020

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Le aziende hanno bisogno di flessibilità per poter utilizzare diversi cloud, ma creano attrito la mancanza di coerenza e di continuità. Questa la conclusione a cui giunge un’indagine realizzata da Vanson Bourne per Nutanix, effettuata attraverso interviste a 650 responsabil IT di aziende di diversi settori e dimensioni localizzate in America del Nord e del Sud, in Europa, Medio Oriente e Africa e nella regione Asia-Pacifico e Giappone.

Se il cloud ibrido viene indicato come la soluzione ottimale, gran parte delle aziende evidenzia difficoltà nel percorso di adozione, con il 70% che dichiara che il processo di trasformazione sta richiedendo più tempo del previsto. Tuttavia, l’obiettivo è chiaro: secondo il 95% del campione la propria azienda trarrebbe pieno beneficio da un’implementazione ibrida che fornisca un’infrastruttura e operations IT coerenti tra diversi cloud per eliminare gran parte delle sfide che attualmente si trovano ad affrontare, dai silos operativi alla carenza di personale.

Secondo la ricerca, il cloud pubblico da solo non è sufficiente sebbeneabbia rivoluzionato il settore IT, offrendo maggiore agilità e più efficienza operativa e sebbene risulti ideale per alcune applicazioni e carichi di lavoro. La maggioranza degli intervistati riscontra problemi nell’esecuzione delle applicazioni business-critical, ovvero quelle vitali per l’azienda, sul cloud pubblico, in particolare in termini di affidabilità (75%), portabilità (73%) e costo (72%). Inoltre, in alcuni casi, semplicemente non riescono a effettuare la migrazione a causa della complessità o dei costi elevati. Ad esempio, la necessità di riprogettare o riorganizzare le applicazioni (75%) e la complessità della migrazione (71%) sono le principali problematiche che impediscono agli intervistati di trasferire le applicazioni.

Fra gli ostacoli sul cammino anche quello legato alla carenza di competenze: molte aziende faticano a trovare tecnici IT adeguatamente qualificati, e la questione si aggrava quando si tratta di professionisti in grado di gestire sia le infrastrutture di cloud pubblico che privato poiché, attualmente, i due ambienti richiedono competenze diverse. Gran parte delle aziende (88%) sta cercando di far sì che il proprio personale abbia le competenze necessarie per gestire un’infrastruttura IT ibrida mentre poco più della metà (53%) considera questo aspetto come un problema cruciale.

Il divario di competenze crea inoltre inefficienze: considerate le diverse competenze richieste per gestire le infrastrutture di cloud pubblico e privato, le aziende spesso devono ricorrere a diversi team creando così dei silos separati, aspetto evidenziato da quasi tutti gli intervistati (95%). Da considerare che, spesso, ciò ha un impatto sul risultato economico, aspetto ancora più preoccupante in un momento in cui gran parte delle aziende è concentrata sull’ottimizzazione delle risorse. Quasi la metà degli intervistati ha segnalato come motivo di preoccupazione l’aumento delle risorse (49%), l’incremento dei costi (45%), oppure lo spreco di risorse (43%). La portabilità è quasi un obbligo e non solo per le applicazioni: per molte aziende (88%) le licenze software sono un aspetto chiave di un’infrastruttura ibrida, e gran parte di esse ha riscontrato difficoltà in tal senso (58%) o è incappata nel cosiddetto “vendor lock-in” (58%) nel passare al cloud pubblico. Inoltre, circa i due terzi degli intervistati (65%) sono disposti a prendere in considerazione le licenze in abbonamento per le proprie infrastrutture It.

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