Sull’appalto per il cloud del Pentagono nessun tweet da parte di Donald Trump. Per i media americani è inusuale il silenzio del presidente degli Stati Uniti di fronte alla gara con cui il dipartimento della Difesa cerca un fornitore di infrastrutture e servizi di cloud computing, visto che l’apparente favorita a mettere la firma sul contratto è Amazon, la “bestia nera” contro cui Trump non perde occasione di lanciare frecciate – dalle accuse di concorrenza sleale ai negozi tradizionali agli attacchi al fondatore Jeff Bezos, proprietario del Washington Post, quotidiano fortemente critico verso il presidente. Ad aprile il sito Axios aveva scritto che Trump è “ossessionato” da Amazon e farà di tutto per arginare il suo potere, anche ricorrendo a misure antitrust; eppure nessuna parola è arrivata finora in merito alla gara in corso al Pentagono per il progetto JEDI, la maxi-commessa decennale del valore di 10 miliardi di dollari per migrare sul cloud tutti i device e gli utenti del Pentagono in tutto il mondo.
La Difesa ha indicato che affiderà JEDI a un singolo fornitore anziché a più imprese, una linea che, per i concorrenti e gli osservatori di mercato, equivale a favorire AWS: Amazon è infatti il colosso del settore, si è già aggiudicata un contratto per il cloud della CIA (ottenuto nel 2013 e di durata decennale) e ha le necessarie certificazioni per gestire i dati Top Secret (classified).
I colossi IT americani Ibm, Microsoft e Oracle hanno fatto lobby senza successo per convincere il dipartimento a scegliere più provider; nei giorni scorsi Oracle ha presentato protesta formale presso il Government Accountability Office (GAO) sostenendo che la procedura di gara non è corretta in quanto non sufficientemente competitiva, ma il Pentagono insiste che un fornitore unico garantisce un’implementazione rapida e omogenea.
Trump, “impulsivo”, scrive Bloomberg, e abituato a affidare a Twitter commenti anche aggressivi, potrebbe decidere da un momento all’altro di intervenire, ma probabilmente stavolta eviterà commenti a caldo perché un suo attacco finirebbe con l’aiutare ulteriormente Amazon. Mandare a monte un contratto della Difesa per un capriccio del presidente giustificherebbe infatti un’azione legale da parte di Amazon e la causa sarebbe facilmente vinta dimostrando che il veto è arrivato in base a criteri del tutto aleatori, se non pe via di capricci personali, osserva Steven Schooner, professore di Legge alla George Washington University e esperto in government procurement.
Il presidente ha la facoltà di dire a un’agenzia federale, in pubblico o in privato, quale vendor dovrebbe scegliere per un appalto o quali criteri dovrebbe seguire per la scelta. Trump infatti ha attaccato diverse commesse pubbliche: già prima di diventare presidente si è scagliato contro l’accordo con Boeing per l’acquisto del nuovo Air Force One. Tuttavia finora ha criticato contratti in essere; questa volta, invece, l’appalto non è ancora stato aggiudicato e Rick Holgate di Gartner pensa che il presidente si asterrà per ora da qualunque mossa: “Probabilmente aspetta di vedere come va a finire“.
Le aziende escluse hanno infatti diverse possibilità di contestare le decisioni delle agenzie governative, dal ricorso al GAO, come ha fatto Oracle, alla causa presso la Court of Federal Claims e possono cercare di dimostrare che le linee guida e i requisiti fissati per la gara non sono stati rispettati. I procedimenti di gara sono pensati in modo da arginare, almeno in parte, l’influenza della politica, e se Trump vorrà davvero fare lo sgambetto a Bezos e ad AWS dovrà riflettere bene su come farlo. Come ha spiegato l’avvocato Frank Murray Jr. su Bloomberg: “Se la Difesa ha valutato Amazon e deciso che l’azienda offre la proposta migliore e dovrebbe vincere la commessa, Trump violerebbe la legge sul procurement se dicesse semplicemente: Amazon non può avere il contratto, sceglietene un altro”.