Il cambiamento che abbiamo davanti è costruito lungo assi diversi e tutti stimolanti: social media, cloud computing, mobilità estrema, wearable, Internet of Things e varie altre cose. Però, una delle “colle” che dovrà tenere tutto assieme sarà l’intelligenza delle macchine, che proviene dalla rete. Ne hanno parlato anche i dirigenti di Apple durante l’ultima conferenza per gli sviluppatori che si è tenuta a San Francisco la scorsa settimana: Siri e Spotlight, rispettivamente l’assistente vocale e il motore di ricerca interno di Apple, diventano più intelligenti e passano ad essere pervasivi. Nel rispetto quasi sacrale della privacy degli utenti, perché è questa la chiave che distingue Apple da Google, Facebook e Amazon, ma sempre più pervasivi. Perché vogliamo servizi su misura che ci accompagnino, che ci riconoscano, che ci servano e ci coccolino con sempre maggiore precisione e flessibilità.
Ma cosa rende possibile questo tipo di “intelligenza”? È il machine learning, la capacità degli algoritmi di una serie di famiglie di analizzare i dati man mano che vengono proposti e utilizzarli per capire meglio quello che nessun piano preparato a tavolino prima può prevedere. Machine learning vuol dire sapere sulla base di una serie di scelte di un individuo o di un gruppo quali sono le cose che in futuro quell’individuo o quel gruppo sarà interessato a fare, a vedere o a consumare.
L’apprendimento automatico è una delle aree più interessanti per quanto riguarda l’intelligenza artificiale perché, a differenza delle altre grandi ipotesi del settore fatte negli anni Sessanta dai primi studiosi del settore, in realtà adesso ha la capacità di funzionare realmente.. Al centro ci sono due idee: la prima è la IoT, la Internet of Things, o comunque la possibilità di raccogliere dataset sempre più ricchi, per generare materiale da analizzare da parte degli algoritmi di machine learning. Ma dall’altra parte c’è un tema importante di potenza di calcolo, di possibilità di aggiornare, raffinare e arricchire i software che effettuano i calcoli e la base dati da calcolare. Ci vogliono supercomputer per poterlo fare.
La fortuna qui sta nell’arrivo del cloud, che non solo porta la possibilità di lavorare “a distanza”, ma anche le tecnologie e le modalità per rendere flessibile e agile l’utilizzo dei sistemi di calcolo. La modularità, la possibilità di usare sistemi come quelli di Amazon o di Google o di Microsoft per avere accesso alle risorse necessarie, sia su un piano tattico che strategico. Apple fa da sola, costruisce i suoi datacenter che devono fare da contenitore per i dati dei suoi utenti (iCloud) per i servizi di vendita e streaming (iTunes e Apple Music) e per i servizi come Siri e tutto quello che ha a che fare con mappe, localizzazione, sistemi di conoscenza e via dicendo.
Adesso i grandi vendor di servizi cloud stanno mettendo a disposizione non solo la capacità di calcolo, l’infrastruttura virtuale, me anche servizi più sofisticati come le API che consentono di avere accesso a sistemi di machine learning già installati e disponibili come servizio. Alla fine, questa intelligenza diffusa, pervasiva e potente arriva tramite il cloud. Senza, sarebbe oggi impossibile.