“Già da tempo investiamo in progetti di sviluppo e ricerca sulla tecnologia blockchain, ma nell’ultimo anno c’è stata un’accelerazione molto importante. Il motivo è che la blockchain è scalabile, è una sorta di standard, e permette di garantire l’univocità di una grandezza legata a un dato, quindi consente di certificare che il dato nel momento in cui viene marcato resta immutato e immutabile. Questo apre diversi scenari, dalla semplice possibilità di garantire che certi archivi e repository che noi generiamo siano sicuri, alla possibilità di erogare servizi non esclusivamente legati al backup – disaster recovery”. Mauro Papini, country manager per l’Italia di Acronis, multinazionale specializzata nella data protection, spiega così in un’intervista a CorCom le nuove prospettive offerte dalla blockchain in un campo dove viene applicata per la prima volta, quello del backup e della certificazione dei documenti.
Papini, come è nata l’idea di utilizzare la blockchain per la certificazione dei documenti?
Utilizziamo la blockchain non tanto nelle nostre soluzioni enterprise, ma nel mercato consumer. L’obiettivo è quello di favorire l’adozione o l’abitudine all’utilizzo della soluzione, ottenendo tra l’altro un feedback da milioni di clienti – per quanto il mercato consumer non sia in termini di fatturato il più rilevante per il nostro business – attraverso i quali potremo capire se ci sono aspetti che possano essere migliorati o funzionalità da aggiungere. “Acronis true image new generation” include funzionalità basate su blockchain, e dà una sorta di impronta digitale ai documenti. Una specificità che può rivelarsi particolarmente utile nel campo della contrattualistica e della gestione amministrativa, con i documenti che così sono garantiti, intoccabili e conformi all’originale ricevuto. Se fossimo in America le direi che sarebbe già possibile applicare questa tecnologia anche al settore forense, ma in Italia non è scontato, e per farlo sarà probabilmente necessario un intervento del legislatore, o un chiarimento normativo.
Quando si parla di data protection, backup e disaster recovery tra le prime cose che vengono in mente c’è la minaccia dei ransomware. C’è abbastanza consapevolezza in Italia contro questo rischio?
In Italia non c’è ancora la consapevolezza di cosa vuol dire passare al digitale, soprattutto rispetto ad altri Paesi. Siamo indietro, ma abbiamo di fronte un’opportunità. Nelle aziende la consapevolezza va aumentando, lo vediamo anche dal nostro punto di osservazione, dal momento che ormai da tre anni in Italia cresciamo in maniera significativa. Una discreta parte di questa crescita, in un mercato competitivo e non particolarmente grande, è dovuta al fatto che le aziende sono alla ricerca di un’assicurazione contro i ransomware. Mentre quasi tutti hanno un antivirus, meno della metà delle aziende adotta soluzioni di backup, e questo le espone al rischio dei ransomware, attacchi informatici contro i quali gli antivirus possono fare ben poco. Quando un antivirus fallisce, non c’è altra alternativa se non avere un’assicurazione sui dati. Grazie alle nostre tecnologie siamo in grado scandagliare i processi in atto in un Pc in tempo reale, di capire se un ransomware sta tentando di rinominare un’estensione, di bloccarlo e di eseguire immediatamente e automaticamente il backup: una procedura che mette al sicuro il “contenuto” della macchina e manda a vuoto i “ricatti” degli hacker.
Su cosa state investendo per i prossimi anni in termini di ricerca e sviluppo?
Se parliamo di breve e medio termine, quello che stiamo facendo con determinazione è muoverci verso il cloud. Che non vuol dire prendere il prodotto e “farne un porting”, ma ripensare tutto il modello di business in ottica cloud, nella prospettiva di non vendere esclusivamente prodotti, ma anche i servizi. Siamo convinti che il cloud sia il futuro, e anche per questo motivo mi auguro che il sistema Paese, se vuole essere competitivo, si doti di infrastrutture adeguate per rendere possibile questo modello di business ovunque, non solo nei grandi centri. A lungo raggio, invece, il nostro Ceo ha iniziato a puntare sulla ricerca nel campo della crittografia quantistica. Si tratta probabilmente di tecnologie che tra 20 anni non saranno ancora sul mercato, ma è ricerca di base su cui è importante muoversi se si vuole rimanere competitivi.