È tutto merito delle nuvole. Con la crescita dei servizi di cloud computing diminuisce il costo dell’archiviazione dei dati. O, viceversa, è la diminuzione dei costi di storage a rendere possibili molti servizi cloud.
Non se ne parla spesso, perché il cloud viene visto soprattutto come un modo per distribuire la potenza di calcolo dei computer: i server erogano software, applicazioni, e gli utenti li possono utilizzare a distanza. Al limite, il cloud viene visto come un prodotto della virtualizzazione, che consente di accedere a macchine virtuali o di sfruttare questo tipo di tecnologia. Entra in gioco anche la virtualizzazione della parte di networking, con la possibilità – in vera e propria esplosione negli ultimi 18 mesi – di sfruttare le SDN (Software defined network, reti definite dal software) per creare datacenter organizzati in modi completamente diversi.
Ma tutti questi dati, tutte queste informazioni, tutta questa potenza di calcolo, ha bisogno di un posto “solido” dove poggiare. E questo posto è lo storage, la parte di archiviazione dei dati. Google non avrebbe potuto creare il suo servizio Gmail, quello che ha fatto partire il cloud per il mercato consumer assieme ai web services di Amazon, né DropBox e Box avrebbero potuto fare lo stesso con lo storage vero e proprio per il mercato consumer. Adesso queste soluzioni stanno diventando sempre più interessanti dal punto di vista della collaboration, il mercato parte delle unified communications che vede nell’utilizzo del cloud e dei sistemi di lavoro a distanza tramite tablet e smartphone la nuova frontiera vero la quale si stanno lanciando anche colossi come Microsoft, Alcatel-Lucent e Cisco.
Ma quanto costa realmente lo storage? Un indicatore dei prezzi, da prendere con intelligenza perché riferito a valori medi sul costo dei supporti di archiviazione, è quello fornito da vari analisti. L’ultima versione si basa su una semplice tabella che indica il costo di archiviazione di 1 Gigabyte di dati nel tempo. Una cifra semplicemente gigantesca negli anni Ottanta che però oggi è diventata patrimonio dei più piccoli e semplici supporti: si trova in abbondanza anche nelle schede per macchine fotografiche, nelle chiavette Usb, nei registratori digitali, nei telefoni non-smart.
Ecco i prezzi:
1981: 300mila dollari
1987: 50mila dollari
1990: 10mila dollari
2000: 10 dollari
2004: 1 dollaro
2012: 0,10 dollari
2012: gratuito
Nella progressione anche le “quantità” offerte dai modelli freemium di alcuni produttori:
15 GB Google Drive
5 GB iCloud
2 GB Dropbox
E via dicendo la lista dell’offerta di archiviazione gratuita è davvero molto lunga. Il risultato? Il vero motore “nascosto” della crescita dei servizi cloud forse non sta tanto nella diffusione degli apparecchi post-PC o nella diffusione della virtualizzazione dei server e degli apparati di rete, quanto nella spettacolare, lunga corsa al deprezzamento del byte, che oggi è diventato una vera e propria commodity.
Quale sarà il futuro di chi offre servizi di storage online quindi? Cambiare lentamente modello di business e creare un sistema che produca fatturato in altro modo, magari attraverso servizi premium.