Il dibattito sulla rete unica di Tlc si fa sempre più acceso. I riflettori sono puntati sul cda di Tim del 31 agosto quando l’azienda dovrà deliberare in merito all’offerta del fondo Kkr per la costituzione di FiberCop e quindi per avviare concretamente i lavori sulla newco per la banda ultralarga che in un secondo step – questo il piano di Gubitosi – dovrebbe “incorporare” gli asset di Open Fiber.
Sebbene i partiti di maggioranza, ma anche Forza Italia e Lega, appaiano sulla carta compatti – nelle scorse settimane sono passate in Parlamento una serie di mozioni votate alla costituzione di un tavolo degli operatori per giungere a una posizione condivisa – in realtà lo scontro all’interno soprattutto della maggioranza resta forte.
Forti le divergenze in casa Pd: se Enza Bruno Bossio indica in una newco capitanata da Tim la soluzione (“la questione non è la proprietà ma la governance”) , il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio ha ribadito nel weekend la propria posizione totalmente all’opposto (la rete deve essere di pertinenza e proprietà dello Stato”).
Per Massimiliano Capitanio della Lega “chi parla di rete unica statale per la banda ultralarga non sa quel che dice”. Secondo Maurizio Gasparri di Forza Italia “è sorprendente la superficialità e l’ignoranza con cui alcuni, anche del governo, affrontano il tema della rete unica a banda larga. Altri invece spacciano per tesi moderne e illuminate delle tentazioni di potere paleosovietiche. Si fanno mille confusioni”.
E per il ministro dell’Innovazione paola Pisano “per quanto importante sia la realizzazione di una rete unica per le nostre telecomunicazioni non è di per sé sufficiente, andrebbe integrata fin da ora con un’infrastruttura strategica altrettanto indispensabile per lo sviluppo dei servizi”.
Nel fine settimana a tentare di placare i botta e risposta che si sono rimbalzati sulla stampa ci ha provato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Stando a fonti Mef “il dibattito politico su questo tema dovrebbe liberarsi delle posizioni di principio e focalizzarsi su cosa si può concretamente fare oggi per migliorare lo status quo, chiaramente subottimale, e dare al paese l’infrastruttura di cui ha bisogno”.
Ma il vero nodo da sciogliere riguarda la ferma posizione delle due aziende in ballo: Tim e Open Fiber, la prima non intenzionata a cedere sulla questione della proprietà della rete, di cui vuole la maggioranza, la seconda pronta a difendere i propri asset.
A offrire una soluzione alterativa al progetto FiberCop è Franco Bassanini, presidente di Open Fiber: per evitare “un ritorno al monopolio” – questo il principale rischio paventato da Bassanini – Tim dovrebbe separare le infrastrutture dai servizi. “Una forte moral suasion del governo dovrebbe spingere Tim a separare le infrastrutture dai servizi. Tim infrastrutture potrebbe fondersi con Open Fiber in una società unica neutrale e non verticalmente integrata che avrebbe in Cdp il suo anchor investor”, propone Bassanini in una lunga intervista a Repubblica.
E se Tim non dovesse accettare? Eccolo il piano di Bassanini: “In questo caso non resterebbe che una strada: che il governo decidesse che comunque, con Tim o senza, occorre assicurare a tutti entro il 2022-2023 la rete unica di nuova generazione di cui il Paese ha bisogno”. Che in soldoni si traduce in una chiamata a raccolta in Open Fiber di tutti quelli che ci stanno a partire da Cdp ed Enel per poi coinvolgere altre telco. Al netto di Fastweb – che si è già fatta avanti nel progetto FiberCop – Bassanini indica Vodafone, Wind Tre, Iliad, Tiscali, Sky, Sorgenia. In campo anche gli investitori infrastrutturali: Kkr e Macquaire in primis, che stanno giocando già sul tavolo Open Fiber, ma anche fondi pensione e casse di previdenza “per raccogliere le risorse necessarie per un piano di copertura integrale del territorio nazionale con la fibra, il 5G, l’edge cloud”.