Non è la prima volta che suona l’allarme sulla carenza di competenze digitali nella popolazione italiana, ma l’ultimo studio realizzato da I-Com, intitolato “Connettere l’Italia. L’innovazione del Sistema Paese nel decennio digitale europeo” (SCARICA QUI IL REPORT) getta una luce particolarmente fosca su questo ritardo: agli attuali ritmi di crescita, le skill digitali almeno di base sarebbero raggiunte solo nel 2465, in uno scenario dove la quota di specialisti Ict sull’occupazione totale in Italia si attesta al 4,1% e arriverebbe al 7,3% auspicato solo nel 2074. Non va meglio sul fronte degli obiettivi di digitalizzazione definiti dal Digital decade europeo: si rischia di dover attendere il 2170 perché l’Italia raggiunga il traguardo del 90% delle pmi digitalizzate fissato dagli obiettivi del decennio digitale. Anche sul fronte della digitalizzazione dei servizi pubblici la prospettiva è estremamente negativa: proiettando verso il futuro il tasso di crescita registrato negli ultimi anni per quanto riguarda i cittadini che usano l’e-gov, il target europeo sarebbe raggiunto solo nel 2087. Sebbene il nostro Paese abbia fatto alcuni passi avanti negli ultimi anni, per colmare il gap con le principali economie del vecchio continente è necessario incrementare ulteriormente gli sforzi.
Il Digital decade, proposto dalla Commissione europea nel 2021, rappresenta ad oggi uno dei progetti più ambiziosi intrapresi a livello comunitario per ridurre gli ampi gap in termini di produttività e di competitività che l’Europa presenta rispetto soprattutto a Stati Uniti e Cina, si legge nella nota di I-Com, Istituto per la competitività, think tank guidato dall’economista Stefano da Empoli con base a Roma e Bruxelles.
“Deve risultare chiara a livello europeo e italiano la necessità di cambiare rapidamente e decisamente passo per provare ad arginare il rischio di perdere ulteriore terreno nel confronto internazionale sia rispetto allo sviluppo che all’adozione delle nuove tecnologie digitali”, ha commentato il presidente di I-Com Stefano da Empoli. “Si tratta di un’evidenza conclamata che ha trovato pieno riconoscimento anche nel rapporto Draghi che, nell’analizzare il futuro della competitività europea, rispetto al digitale ha giustamente sottolineato la necessità di accelerare e di agire in maniera rapida e decisa sui fattori che attualmente minano la capacità di competere ed innovare, primo tra tutti l’atteggiamento europeo verso le nuove tecnologie”.
Italia indietro su competenze di base e pmi digitali
Lo studio di I-Com, realizzato nell’ambito dell’Osservatorio annuale sulle reti e i servizi di nuova generazione, giunto alla XVI edizione e curato dallo stesso da Empoli insieme alla vicepresidente di I-Com Silvia Compagnucci e al direttore dell’Area digitale di I-Com Domenico Salerno, è stato presentato a Roma presso la Coffee House di Palazzo Colonna nel corso di un convegno pubblico a cui hanno preso parte numerosi relatori tra accademici, esperti e rappresentanti delle istituzioni, della politica e del mondo delle imprese. L’Osservatorio è stato promosso in collaborazione con Energee3, Eolo, Google, Inwit, Open Fiber, Qualcomm, Tinexta Cyber e WindTre e la media partnership di Askanews.
Il report include l’I-Com Ultrabroadband index (Ibi) 2024, l’indice sintetico elaborato dall’Istituto per la Competitività che ha lo scopo di fotografare lo sviluppo delle reti e dei servizi digitali nei mercati nazionali europei, un’indagine condotta I-Com e da ByTek sull’interesse della popolazione per l’intelligenza artificiale, e un’indagine campionaria svolta da I-Com per esplorare la domanda di connettività fissa e mobile da parte dei consumatori in Italia.
Relativamente agli obiettivi europei per il decennio digitale, un primo punto cruciale che emerge dalle stime effettuate dai ricercatori I-Com riguarda la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura del tessuto industriale europeo, e in particolare di quello italiano. Con un valore del 60,7% nel 2023, il nostro Paese ha prestazioni migliori della media europea (57,7%), ma, nonostante ciò, la crescita si è attestata appena sullo 0,5% tra il 2021 e il 2023. Proseguendo di questo passo, le pmi italiane che raggiungeranno un livello di digitalizzazione basilare nel 2030 saranno solo il 62,1%, mentre per tagliare il traguardo del 90% bisognerebbe attendere il 2170.
Relativamente agli individui che hanno almeno competenze digitali di base, il valore medio europeo è stato pari al 55,6% nel 2023, con un leggero miglioramento (+1,7 punti percentuali) rispetto al dato precedente risalente al 2021. Secondo le attuali proiezioni, in assenza di ulteriori investimenti, il gap rispetto al target prefissato per il 2030 è destinato a raggiungere il 20,2%. Agli attuali ritmi di crescita il target sarebbe centrato solo nel 2465.
Digitalizzazione dei servizi pubblici sotto la media Ue
Come visto, la quota di specialisti Ict sull’occupazione totale in Italia si è attestata al 4,1%, valore che posiziona il nostro Paese al quartultimo posto in Ue, nettamente indietro rispetto alla media comunitaria (4,8%). Proiettando l’avanzamento italiano nei prossimi anni, gli specialisti Ict raggiungerebbero il 7,3% dell’occupazione auspicato solo nel 2074.
Sul fronte dell’identità digitale come punto d’accesso per i servizi pubblici, l’Ue sta lavorando per aumentare la quota di step amministrativi che sia i cittadini che le imprese possono effettuare online nell’espletamento delle attività quotidiane.
In Italia il punteggio sulla digitalizzazione dei servizi pubblici è al di sotto di quello medio europeo, attestandosi sui 68,3 punti per i cittadini e sui 76,3 per le imprese. In particolare, per quanto riguarda i cittadini, la prospettiva è estremamente negativa suggerendo che, continuando di questo passo, il target europeo sarebbe raggiunto solo nel 2087.
Fibra e 5G, i nodi sono infrastruttura e domanda
Lo studio prosegue affermando che il perseguimento del piano programmatico rappresentato dal Digital Decade non può assolutamente prescindere dal miglioramento delle infrastrutture di connettività.
In base ai risultati dell’indagine campionaria svolta da I-Com per esplorare la domanda di connettività fissa e mobile da parte dei consumatori in Italia, tra coloro che hanno dichiarato di non disporre di una connessione di rete fissa, più di un consumatore su due (58%) afferma di non averne bisogno poiché già provvisto di una rete mobile in grado di soddisfare appieno le proprie esigenze di connessione. Tra chi invece ha la rete fissa ma non Ftth, il 44,3% sostiene di non aver effettuato un upgrade di linea poiché la zona in cui risiede non è fornita dell’infrastruttura necessaria.
Dall’indagine è emerso, inoltre, che il principale incentivo ad effettuare un upgrade di connessione è rappresentato da un aiuto economico (44,7%). Sul versante delle reti mobili, il 17,9% degli individui ha scelto di cambiare il proprio fornitore negli ultimi 12 mesi e la motivazione è quasi esclusivamente di natura economica.
Tra gli utenti con un’offerta 5G, soltanto il 12,4% ha riscontrato un notevole miglioramento delle prestazioni rispetto alla precedente offerta 4G, mentre il 44,9% non ha percepito alcun miglioramento. Più del 47% di coloro che utilizzano attualmente la connessione 4G ha affermato di non aver mai considerato la possibilità di passare a un’offerta 5G e oltre due terzi degli italiani non sarebbe disposto a incrementare la propria spesa per una connessione più performante, come quella che dovrebbe garantire la fibra fino a dentro casa (Ftth) nel fisso e il 5G nel mobile.
I-Com Ultrabroadband index, l’Italia perde posizioni
Secondo l’I-Com Ultrabroadband index (Ibi) 2024, la Danimarca continua a guidare la classifica complessiva europea con un punteggio pari a 81. Sul podio, seguono Spagna e Svezia.
La performance italiana, che vede la perdita di due posizioni in classifica, dal nono all’undicesimo posto, è riconducibile a molteplici fattori. Se da un lato il nostro Paese ha un elevata copertura delle reti mobili – nello specifico una copertura 5G sulla banda di spettro 3,4-3,8 GHz dell’88% nelle aree urbane e del 69% in quelle rurali – dall’altro, i passi in avanti compiuti per la copertura delle reti Fiber to the premises (Fttp) e Fixed very high-capacity networks (Vhcn) non sono ancora sufficienti a colmare il gap con la media europea.
Sul fronte della domanda, il nostro Paese, pur recuperando posti, non tiene il passo degli altri paesi membri, assestandosi nella seconda metà della classifica. Registra un peggioramento nell’e-government, scarsi progressi nell’e-commerce e le competenze digitali sono decisamente al di sotto della media europea. Infatti, solo il 45,8% delle persone in Italia possiede almeno le competenze digitali di base, con divari tra tutte le fasce di età. Questo dato è ben al di sotto della media Ue del 55,6% e ha mostrato una dinamica limitata negli ultimi anni.
AI, italiani concentrati sull’impatto sul lavoro
L’adozione dell’intelligenza artificiale da parte di aziende e cittadini sta aumentando notevolmente in tutto il mondo e anche in Europa. Gli utenti di Ai in Europa sono cresciuti fino a quasi 80 milioni nel 2023, una cifra che rappresenta quasi il 20% della popolazione del continente europeo, e si prevede che questo numero supererà i 200 milioni entro la fine del decennio. Un interesse, quello per l’intelligenza artificiale, sottolineato anche dall’indagine condotta I-Com e da ByTek, che prende in considerazione per il secondo anno consecutivo cinque Paesi (Italia, Stati Uniti, Francia, Germania e Spagna). Dall’analisi risulta un’impennata del numero di ricerche effettuate in rete sull’Ai a partire dal terzo trimestre 2022. La Francia, tra i Paesi europei, ha registrato il maggior interesse generale verso l’argomento, con oltre 700 mila ricerche ogni 100.000 abitanti, mentre l’Italia si trova, con poco più di 70.000 ricerche pro-capite effettuate nel corso dello scorso anno, ultima in classifica.
Sebbene la Penisola dimostri un forte interesse verso i possibili vantaggi portati dall’Ai, con 37,2 ricerche ogni 100.000 abitanti, i dati in ambito educazione e formazione la riconfermano all’ultimo posto con 43 ricerche ogni 100.000 abitanti, ampiamente sorpassata da Germania (461) e USA (195).
Un ulteriore aspetto preso in considerazione è l’impatto di questa tecnologia sul mondo del lavoro. In particolar modo in Italia si registra un forte interesse sul binomio intelligenza artificiale e lavoro con 114,8 ricerche ogni 100.000 abitanti, un valore quasi quattro volte più elevato rispetto al paese che la segue in classifica, ovvero gli Usa (32,8) e oltre cinque volte più elevato comparato alla Spagna terza in classifica (21,6). Dalle ricerche correlate ai potenziali rischi legati all’Ai in relazione alla perdita di posti di lavoro, la Germania prevale per numero di ricerche ogni 100.000 abitanti (30,8), seguita da Francia (19,5), Italia (18,6) e Usa (17,9).
La new space economy: opportunità e formazione
Infine, il contributo delle infrastrutture è indispensabile anche per il successo della new space economy, che offre un ventaglio di opportunità anche per aspetti relativi al take-up del digitale e delle nuove tecnologie.
Il monitoraggio realizzato da I-Com sulle attività di formazione su tematiche spaziali in ambito universitario ha rilevato per l’anno accademico 2024/2025 un totale di 343 unità tra insegnamenti e corsi di studio, evidenziando come la formazione specializzata post-laurea si affianca a quella universitaria con differenze in termini quantitativi decisamente importanti. Sono stati osservati 154 progetti di ricerca in dottorati, 119 insegnamenti singoli all’interno delle lauree magistrali, 14 lauree magistrale e 12 triennali, a fronte di 14 corsi all’interno di master di I e II livello, 11 all’interno di lauree triennali e – in egual misura – in dottorati di ricerca e 8 master specificamente incentrati su tematiche spaziali.
Per quanto concerne la distribuzione dell’offerta formativa (specializzata e non) a livello regionale, questa appare piuttosto disomogenea, con una forte concentrazione nel Lazio (63 corsi), in Lombardia (38) e in Puglia (36), seguite da Campania (30) e Piemonte (28), mentre a settembre 2024 solo Molise e Valle d’Aosta risultavano non proporre corsi di questo genere.