LO STUDIO

Consumer product & Retail, next normal all’insegna del digitale nella supply chain

I dati del Capgemini Research Institute: oggi soltanto il 23% delle imprese del largo consumo e il 28% dei venditori al dettaglio giudicano la propria catena di approvvigionamento adeguata alle esigenze del post Covid. E due su tre sono pronti a rivedere le strategie nel prossimo triennio. Ai e Machine Learning protagonisti del cambiamento

Pubblicato il 12 Mar 2021

acquisizione supply chain

L’emergenza Covid-19 ha provocato un’accelerazione dei cambiamenti anche nel settore dei Consumer products and retail, e le aziende sono impegnate a fare fronte alle nuove esigenze adottando nuove strategie e facendo un ricorso sempre più massiccio al digitale anche nel campo della supply chain. E’ la tendenza che emerge dal nuovo report del Capgemini Research Institute, The wake-up call: Building supply chain resilience in consumer products and retail for a post-COVID world”, da cui emerge che il 66% delle organizzazioni prevede di apportare cambiamenti significativi peer adattarsi alle conseguenze della pandemia e migliorare la resilienza delle proprie attività. Solo il 23% delle organizzazioni attive nel settore dei beni di consumo e il 28% dei retailer, infatti, ritengono che la loro supply chain sia sufficientemente agile da soddisfare la continua evoluzione delle esigenze di business.

Inoltre l’85% delle organizzazioni operanti nel settore dei beni di consumo e l’88% dei retailer affermano di aver affrontato situazioni critiche, e rispettivamente il 63% e il 71% sostiene di aver impiegato un orizzonte temporale di almeno tre mesi affinché le proprie catene di approvvigionamento superassero le problematiche che le hanno interessate.

Tre le aree specifiche di cambiamento verso cui le aziende stanno indirizzando la propria attenzione: l’introduzione del demand sensing, la necessità di avere una migliore visibilità per reagire in modo più agile alle esigenze del mercato, e il passaggio dalla globalizzazione alla localizzazione.

Introdurre il demand sensing

Si tratta del campo in cui il digitale può essere decisivo: il punto di partenza fotografato dallo studio di Capgemini riporta di quasi 7 aziende su 10, per l’esattezza il 68%, che affermano di aver incontrato difficoltà a livello di pianificazione a causa della scarsità di informazioni accurate e aggiornate sulla fluttuazione della domanda dei clienti durante la pandemia. Per porre rimedio a questo problema migliorando le previsioni il 66% del campione ha intenzione di segmentare le catene di fornitura in base ai pattern di domanda, al valore del prodotto e alle dimensioni regionali a seguito della pandemia, mentre il 54% afferma che si avvarrà di analytics, AI e machine learning per prevedere la domanda e fronteggiare l’impatto dell’emergenza causata dalla pandemia.

L’importanza della visibilità

Per il 75% delle aziende dei beni di consumo le difficoltà maggiori sono arrivate quando è stato necessario incrementare o diminuire con una certa rapidità la capacità produttiva per adeguarsi ai cambiamenti provocati al mercato dalla pandemia. La contromisura in questo caso è aumentare la visibilità, per consentire ai produttori di avere l’agilità necessaria per rispondere ai cambiamenti improvvisi della domanda e prendere decisioni strategiche, tattiche e operative in tempo reale. Per questo è fondamentale investire nel digitale: il 58% dei retailer e il 61% delle aziende attive nel settore dei beni di consumo stanno infatti pensando di incrementare gli investimenti nella digitalizzazione delle proprie supply chain. Per scendere più nel dettaglio, il 47% ha intenzione di investire nell’automazione, il 42% nella robotica e il 42% nell’intelligenza artificiale. In prospettiva aumenterà considerevolmente l’uso dell’AI e del machine learning per l’ottimizzazione rispettivamente dei trasporti (64%) e dei prezzi (63%).

Dal globale al locale 

La transizione dalla globalizzazione alla localizzazione per le aziende CP&R riguarda essenzialmente i fornitori e la produzione: il 72% delle aziende operanti nel settore dei beni di consumo e il 58% dei retailer affermano infatti di aver iniziato a investire attivamente per spostare o avvicinare la produzione su base regionale o locale. Il 65% delle aziende del settore CP&R sta inoltre investendo, si legge nella nota di Capgemini – nella regionalizzazione e localizzazione del proprio bacino di fornitori, percentuale che sale all’83% nel Regno Unito e al 73% in India. In linea con queste strategie, tra tre anni i fornitori a livello globale rappresenteranno solo il 25% della capacità dei retailer, rispetto all’attuale 36%. Nel settore dei beni di consumo, i produttori globali rappresenteranno solo il 17%, rispetto all’attuale 26%.

Seguendo questa strategia rivolta alla localizzazione si sta assistendo anche alla riconversione dei dark store, che conducono attività indipendenti e che sono più vicini ai luoghi di consegna, in un’alternativa sempre più utile per evadere gli ordini online, in scia al calo del numero di persone che visitano gli store fisici.

“Le aziende del settore Consumer Products & Retail sono consapevoli che potrebbero verificarsi ulteriori interruzioni e hanno quindi bisogno di avere l’agilità e la resilienza necessarie per garantire l’intera catena della supply chain – spiega Alessandro Kowaschutz, Cprd & Eucs Director di Capgemini in Italia – La pandemia ha accelerato il cambiamento e fornito molti insegnamenti: le organizzazioni hanno capito che le nuove tecnologie possono garantire una maggiore agilità, dalle previsioni della domanda al rifornimento dei magazzini, fino a consegne più veloci nell’ultimo miglio, con una notevole riduzione dei costi. Investendo ora, le aziende si mettono in condizione di supportare i consumatori in ogni momento, in totale sicurezza anche nelle situazioni più impreviste”.

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