LA RIFORMA

Copyright, le web company confidano nei negoziati: “Serve più innovazione”

Edima, l’associazione che raggruppa le piattaforme online, critica il testo licenziato dal Parlamento Ue anche nella parte che “obbliga al filtraggio dei contenuti caricati”. E auspica un cambiamento nella fase negoziale al Consiglio

Pubblicato il 13 Set 2018

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Deludente e sorprendente. Con queste parole Edima, l’associazione che raggruppa i big del tech – tra cui Google, Facebook, Amazon ed Apple – commenta il via libera dell’Europarlamento alla Riforma del copyright.

Per Edima si tratta di “misure notevolmente simili a quelle già respinte dalla maggioranza degli europarlamentari lo scorso luglio”. La riforma del copyright “limiterà l’accesso dei cittadini europei alla condivisione online delle notizie e obbligherà al filtraggio dei contenuti caricati”.

“Speriamo che le preoccupazioni dei cittadini europei, e tutte quelle di accademici, piccoli editori, start up e Onu, che sono state espresse saranno ancora prese in considerazione durante la prossima fase dei negoziati – puntualizza il presidente dell’Edima Siada El Ramly  – Auspichiamo di lavorare con tutte le persone coinvolte con l’obiettivo di un miglior esito per tutti”.

Anche Google ha commentato il voto.  “Le persone vogliono avere accesso a informazioni di qualità e contenuti creativi online – spiega un portavoce di BigG – Abbiamo sempre detto che più innovazione e più collaborazione sono il modo migliore perché si possa raggiungere un futuro sostenibile per l’informazione e il settore creativo in Europa e siamo impegnati a mantenere una stretta collaborazione con queste industry”.

La posizione del Parlamento rafforza la proposta della Commissione europea in materia di responsabilità delle piattaforme e degli aggregatori riguardo le violazioni del diritto d’autore. Questo vale anche per i cosiddetti snippet, dove viene visualizzata solo una piccola parte del testo di un editore di notizie. In pratica, tale responsabilità imporrebbe a tali soggetti di remunerare chi detiene i diritti sul materiale, protetto da copyright, che mettono a disposizione. Il testo richiede inoltre espressamente che siano i giornalisti stessi, e non solo le loro case editrici, a beneficiare della remunerazione derivante da tale obbligo di responsabilità.

Allo stesso tempo, nel tentativo di incoraggiare le start-up e l’innovazione, il testo esclude esplicitamente dalla legislazione le piccole e micro imprese del web.

I deputati hanno introdotto nuove disposizioni che hanno lo scopo di non ostacolare ingiustamente la libertà di espressione che caratterizza Internet. Pertanto, la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole individuali” come descrizione, sarà libera dai vincoli del copyright.

Qualsiasi misura adottata dalle piattaforme per verificare che i contenuti caricati non violino le norme sul diritto d’autore dovrebbe essere concepita in modo da evitare che colpisca anche le opere che non violano il copyright. Le stesse piattaforme dovranno inoltre istituire dei meccanismi rapidi di reclamo (gestiti dal personale della piattaforma e non da algoritmi) che consentano di presentare ricorsi contro una ingiusta eliminazione di un contenuto.

Il testo specifica che il caricamento di contenuti su enciclopedie online che non hanno fini commerciali, come Wikipedia, o su piattaforme per la condivisione di software open source, come GitHub, sarà automaticamente escluso dall’obbligo di rispettare le nuove regole sul copyright. 

Il testo del Parlamento rafforza la posizione negoziale di autori e artisti consentendo loro di “esigere” una remunerazione supplementare da chi sfrutta le loro opere, nel caso il compenso corrisposto originariamente è considerato “sproporzionatamente” basso rispetto ai benefici che ne derivano. Tali benefici dovrebbero includere le cosiddette “entrate indirette”.

Le misure approvate consentirebbero inoltre agli autori e agli artisti di revocare o porre fine all’esclusività di una licenza di sfruttamento dell’opera, se si ritiene che la parte titolare dei diritti di sfruttamento non stia esercitando tale diritto.

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