Il New York Times fa causa a OpenAI, la società a cui fa capo ChatGpt, e Microsoft per violazione del diritto di autore, aprendo un nuovo fronte dell’intensa battaglia legale sull’uso non autorizzato di opere pubblicate per l’addestramento dell’intelligenza artificiale. Lo riporta lo stesso Nyt, sottolineando che milioni di suoi articoli sono stati usati per addestrare chatbot (i software che simulano ed elaborano le conversazioni umane scritte o parlate) che ora sono in concorrenza con il quotidiano come forma affidabile di informazione.
Il blocco dell’archivio
Gia lo scorso agosto il New York Times ha bloccato il web crawler di OpenAI, il che significa che l’azienda non può utilizzare il contenuto della pubblicazione per addestrare i suoi modelli di intelligenza artificiale.
Il blocco è arrivato dopo che il Nyt aveva aggiornato i suoi termini di servizio per vietare l’uso dei suoi contenuti per addestrare modelli di intelligenza artificiale.
All’origine del blocco c’è l’investimento di 20 miliardi di dollari fatto da Microsoft in OpenAI: l’obiettivo è aumentare le capacità del motore di ricerca Bing. È a quel punto che l’attenzione della società si sarebbe spostata sull’archivio del New York Times che, se incorporato negli algoritmi di ChatGpt, avrebbe permesso a Bing di rispondere alle domande degli utenti con testi formulati sulla base degli articoli pubblicati dal quotidiano.
Cosa rischia OpenAI?
La questione è del tutto aperta ma se il tribunale accertasse che OpenAI ha violato il diritto d’autore copiando articoli del New York Times, potrebbe ordinare la distruzione del set di dati costringendo ChatGpt a ricrearlo da zero con solo ciò che è autorizzata a utilizzare. Inoltre, la legge federale sul copyright prevede anche severe sanzioni pecuniarie, con i trasgressori che rischiano multe fino a 150.000 dollari per ogni violazione “commessa intenzionalmente”.