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Copyright, Italia in affanno: pesa la scarsa innovazione

Secondo l’International Property Rights Index il nostro Paese è fanalino di coda nella tutela del diritto d’autore ai tempi del digitale. E l’apertura di una nuova “Via della Seta” potrebbe aggravare la situazione, contribuendo ad aumentare i fenomeni di contraffazione

Pubblicato il 18 Ott 2019

Giacomo Bandini

Competere, Policies for Sustainable Development

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I Paesi che meglio tutelano la proprietà sono anche quelli che innovano di più. La correlazione è chiara secondo l’International Property Rights Index (IPRI), uno studio realizzato con cadenza annuale dalla Property Rights Alliance che misura come e quanto viene tutelata la proprietà fisica e intellettuale in 127 Stati rappresentanti il 98 per cento del Prodotto Interno Lordo mondiale ed il 94 per cento della popolazione.

L’indice viene presentato in Italia dal think tank Competere e vede la partecipazione di 118 istituti di ricerca e organizzazioni operanti in 72 nazioni. L’edizione 2019 mostra un quadro piuttosto negativo per l’Italia che si colloca solamente al quarantaseiesimo posto della classifica (6.1 il punteggio), dopo il Bahrein e la Giordania, guadagnando qualche posizione rispetto all’anno precedente, ma arretrando rispetto al 2014 quando l’Indice ci collocava al 40esimi.

Rimaniamo ancora ben distanti dagli altri Paesi del G7 (7.9 punti di media) e di gran lunga staccati dai Paesi quali la Finlandia (8.7), la Svizzera (8.5), la Nuova Zelanda (8.5), Singapore (8.4) e l’Australia (8.3) che occupano le prime cinque posizioni dell’indice internazionale.

L’indice si compone di 3 voci principali che riguardano il “sistema politico e giuridico”, la “tutela dei diritti di proprietà fisica” e la “tutela dei diritti di proprietà intellettuale” a loro volta suddivise in sotto-capitoli che definiscono il punteggio finale. L’Italia è insufficiente nella prima voce (5.4), soprattutto per quanto riguarda la stabilità politica e l’efficienza e l’efficacia della giustizia civile, oltre agli alti livelli di corruzione percepiti. Per quanto riguarda la tutela della proprietà fisica vi è un leggero miglioramento rispetto al 2018, relativo soprattutto al funzionamento del sistema di registrazione. Riesce a strappare un discreto risultato (circa 6.78) nel campo della tutela della proprietà intellettuale grazie anche alle agevolazioni derivanti dal cosiddetto patent box e ad una burocrazia in questo settore più snella.

Nello specifico, il country profile relativo all’Italia segnala alcuni nodi critici come l’indipendenza della giustizia, valutata solamente 5/10 oppure le ripetute violazioni del copyright, sotto-indice che si attesta anch’esso sull’insufficienza (5.7 punti). Le performance peggiori vengono fatte segnare però dalla dall’accesso al credito, il dato peggiore in assoluto, che registra un punteggio pari a 3.3.

L’IPRI 2019 dedica ampia analisi alle connessioni strette tra la tutela dei diritti di proprietà e i livelli di innovazione e sviluppo raggiunti da ogni singolo Paese. Tale legame è sottolineato sia dalla presenza ai vertici della classifica dei Paesi tecnologicamente più avanzati (con l’eccezione della Cina) sia dalla correlazione dell’IPRI con i principali indici tecnologici (Telecom Infrastructure Index, ICT Development Index, Global Connectivity Index, Global Biotech Innovation).

L’apertura di una nuova “Via della Seta” potrebbe aggravare il fenomeno della contraffazione e della violazione del copyright così come del furto di conoscenze tecnologiche che oggi sottraggono 24 miliardi di euro alle imprese italiane. Nel Memorandum firmato dal precedente Governo Conte l’aspetto della proprietà intellettuale è stato affrontato in modo superficiale e potrebbe essere un grave errore. Questione che ha allarmato anche i partner Occidentali e la stessa Unione Europea. Basti pensare che dalla Cina e dall’hub internazionale di Hong Kong provengono rispettivamente il 37% e il 30% dei prodotti contraffatti, che finiscono per circolare in Italia ed in Europa, e che la Cina si posiziona tra le ultime posizioni per quanto riguarda la tutela del copyright e la pirateria informatica. Inoltre il numero dei contenziosi legali per violazione della proprietà intellettuale e pirateria da parte di soggetti o aziende cinesi è in aumento costante e ha raggiunto quasi 25000 casi nel 2017.

Le incognite lasciate dall’intesa per l’ingresso italiano nella Belt and Road Initiative sono molteplici e il caso della proprietà intellettuale è emblematico. Non c’è dubbio che un rafforzamento delle relazioni commerciali con la Cina, anche attraverso nuove infrastrutture, possa essere una grande opportunità, soprattutto se si pensa alle partnership tecnologiche come quelle stipulate sul 5G. Tuttavia, prima di proseguire con l’accordo, è perlomeno necessario stabilire con il partner asiatico degli standard di tutela della proprietà solidi e concordare attività efficaci di contrasto alla contraffazione, per evitare nuove minacce al made in Italy e alle nostre aziende. Il Governo dovrebbe tenerne conto al fine di tutelare la sicurezza nazionale che si basa anche sulla difesa della proprietà, industriale, fisica e intellettuale.

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