È il momento della verità per la guerra del copyright, negli Usa, e gli effetti arriveranno anche in Europa. Domani centinaia di siti e blog sciopereranno, tra cui il più noto, di gran lunga, è Wikipedia: si auto oscureranno.
Ma la protesta è già uscita dal web, arrivando a livelli istituzionali, e comincia ad avere i primi effetti: gli autori delle proposte di legge contestate hanno annunciato un parziale dietro front. Si tratta dei senatori Lamar Smith e Patrick Leahy, principali promotori delle proposte che vanno sotto il nome di Sopa (Stop online piracy act) e Pipa (Protect IP Act). Hanno dichiarato che rinunciano a Pipa e cioè all’idea di imporre filtri lato Dns per bloccare i siti che in qualche modo facilitano la pirateria.
A pesare su questa decisione sono state anche le dichiarazioni dell’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti. In una nota, infatti, la Cosa Bianca ha affermato che la lotta alla pirateria non debba aprire le porte alla censura. “Per minimizzare tale rischio la nuova legislazione (Sopa e Pipa, Ndr) deve essere indirizzata precisamente solo ai siti che non sono al momento colpiti dall’attuale legge americana: realtà chiaramente proibite dalle leggi, attraverso un’attività mirata e precisa". Insomma, colpire solo quelli che apertamente violano la legge e che non sarebbero perseguibili con le norme già in vigore.
La protesta comunque prosegue. Anche senza Pipa. Il Sopa basta infatti a infiammare gli animi. Imporrebbe a tutti gli intermediari (Internet service provider, content provider, portali e aggregatori come Amazon, Yahoo!, Google. Facebook) di bloccare l’accesso al sito giudicato pirata, in base all’ordine di un giudice.
L’aspetto più criticato è che sarebbe considerato pirata non solo il contenuto ma anche qualsiasi link che vi conduca. Il rischio è insomma che diventino perseguibili, immediatamente, anche i motori come Google, che offrono appunto link come risultati di una ricerca.
Finora la normativa Usa li ha protetti, obbligandoli a cancellare solo link e contenuti previa specifica segnalazione da parte degli aventi diritto. Per evitare addebiti, potrebbero quindi essere chiamati a un’attività di sorveglianza attiva sui siti web aggregati o indicizzati: è questo, secondo le critiche, il “rischio censura” che Sopa porta con sé.
Scrive Cory Doctorow, noto guru del web, sul blog BoingBoing (molto seguito dagli attivisti): “Non potremmo pubblicare link ad altri siti a meno che non siamo del tutto sicuri che su quei siti non esistano link che rimandino a qualunque cosa che possa essere considerato una violazione del copyright. Inserire un solo link richiederebbe di controllare milioni (o decine di milioni) di pagine web, solo per essere sicuri di non stare in qualche modo minando la possibilità di cinque studi di Hollywood, quattro etichette discografiche multinazionali e sei editori globali di massimizzare i propri profitti”.
Al momento anche in Europa le norme (il codice delle comunicazione elettroniche) vietano di imporre agli intermediari e a siti forme di sorveglianza su contenuti di terze parti. Sopa potrebbe essere quindi la più severa misura anti pirateria in vigore nei Paesi industrializzati.
Così continuano a montare le proteste e ormai sono circa 30 milioni di utenti hanno aderito all’iniziativa del sito BlackoutSopa; ma per ora manca un’adesione da parte dei big del web- Wikipedia a parte- tra cui Google, Facebook e Twitter.