La lobby di Google e degli over-the-top ha vinto su quella degli editori. Almeno per ora: il Parlamento europeo ha rinviato a settembre i negozati sulla riforma del copyright, arenatasi sui controversi articoli 11 e 13 che vogliono imporre alle piattaforme del web il pagamento dei diritti di autore anche solo se mostrano il link a un articolo giornalistico o un estratto di tale articolo, il cosiddetto snippet.
“Google, YouTube e Facebook potrebbero essersi risparmiate una spesa di miliardi di euro in diritti da versare ai gruppi editoriali, alle case discografiche e agli artisti“, commenta il britannico The Guardian.
Il Parlamento europeo oggi ha respinto la proposta di direttiva per la riforma Ue del diritto d’autore (copyright) votando contro l’avvio di negoziati fra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue sulla proposta di direttiva. 318 eurodeputati hanno votato contro il testo alla base della trattativa, 278 si sono pronunciati a favore, 31 si sono astenuti. A questo punto il testo con gli emendamenti sarà discusso, emendato e e votato dal Parlamento in seduta plenaria a settembre.
La legge europea sul copyright ha spaccato completamente gli attori dell’economia digitale: per i gruppi editoriali, i musicisti e i detentori di proprietà intellettuale è giusto che gli Ott diano un contributo a chi fornisce i contenuti; dalla parte della riforma europea si è schierato, tra gli altri, l’ex Beatle Paul McCartney. Le piattaforme Internet si arricchiscono anche grazie ai contenuti professionali e artistici creati da altri, ma senza remunerarli appropriatamente.
Sul versante opposto si sono schierati i “padri del web” Tim Berners-Lee a Vint Cert, il fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, l’esperto di net neutrality Tim Wu che credono che Internet sia una “piattaforma aperta per condividere e innovare” e per i quali la nuova legge europea sul copyright avrebbe creato uno “strumento per la sorveglianza e il controllo degli utenti”.
Il no odierno dell’Europarlamento rappresenta una vittoria delle aziende tecnologiche che si sono da sempre dichiarate contro la versione più severa della riforma del copyright perché contraria alla libertà di espressione ma che di fatto, commenta il Wall Street Journal, riescono così a fendere i colpi di un pressing regolatorio europeo che agisce su più fronti, come il fisco, con il tentativo di portare il pagamento della corporate tax dei giganti di Internet più in linea con i loro colossali profitti, e la privacy, ora soggetta a regole più stringenti con l’entrata in vigore del Gdpr.
Uno degli elementi della riforma europea del copyright contestati dagli Ott è il maggior potere negoziale conferito agli editori nei confronti delle piattaforme web che fanno “utilizzo digitale” delle loro notizie: i gruppi dei media professionali vogliono essere pagati anche quando i loro articoli vengono letti sui social media o sulle piattaforme che aggregano i contenuti.
Altro elemento – caro ai produttori di musica e poco gradito agli Ott – è la richiesta per i siti come YouTube di remunerare in modo più “proporzionato” autori e artisti e di evitare il caricamento di contenuti privi di licenza. Ancora una volta, produttori e artisti cercano più potere negoziale di fronte a aziende del web con un forte dominio di mercato. Tutto rinviato a settembre, ma con l’alta probabilità che la versione finale della riforma piaccia più a Google& co. che agli editori.