IL CASO

Corporate tax, Bezos cerca di ricucire con Biden. Ma no comment sull’aliquota del 28%

Dopo il botta e risposta col presidente Usa, che accusa Amazon di non pagare le tasse federali, il manager dice sì a un fisco più “pesante”. Si apre una trattativa con le big tech?

Pubblicato il 07 Apr 2021

HANDOUT - 24 April 2018, Germany, Berlin: Amazon founder and owner of the "Washington Post", Jeff Bezos (R) sitting onstage with CEO of Springer, Mathias Doepfner, during the Axel Springer award ceremony. According to the media group, the award honours Bezos visionary entrepreneurship in the internet economy and the systematic digitalization strategy of the 140-year-old American newspaper. Photo by: Daniel Biskup/picture-alliance/dpa/AP Images

Jeff Bezos è con Joe Biden sulla proposta di aumentare la corporate tax: lo ha dichiarato il patron di Amazon in un commento ufficiale al maxi-piano di rilancio economico introdotto dal presidente degli Stati Uniti (e che dovrà passare all’approvazione del Congresso). Nessun commento, però, sull’aliquota proposta da Biden: il 28% contro l’attuale 21%. Bezos – l’uomo più ricco del mondo secondo la classifica di Forbes appena pubblicata– non sembra condividere per ora l’entità dell’aumento della tassa sulle imprese.

“Siamo favorevoli all’obiettivo indicato dall’amministrazione Biden di realizzare investimenti coraggiosi nelle infrastrutture americane”, si legge nella nota del fondatore e ceo di Amazon. “Siamo consapevoli che tale investimento richiederà che tutte le parti facciano delle concessioni – sia sulla natura degli investimenti sia su come verranno finanziati (e siamo d’accordo con un aumento dell’aliquota della corporate tax”.

Il Recovery Plan di Biden: corporate tax al 28%

La scorsa settimana il presidente Biden ha presentato il più corposo piano per la ripresa economica degli Stati Uniti dal New Deal di Roosevelt: sul piatto ci sono 2.000 miliardi di dollari. Chiamato “Build Back Better” il programma mira a un rinnovo totale delle infrastrutture, tra cui la banda ultra-larga, prioritaria al pari di strade e ferrovie. Anche auto elettriche, Industria 4.0 e innovazione tecnologica rientrano negli obiettivi degli investimenti.

La spesa di 2 trilioni è spalmata in otto anni e finanziata con un aumento della corporate tax al 28%. Questo incremento del gettito fiscale, più altre misure volte ad arginare la pratica del trasferimento dei profitti all’estero da parte delle multinazionali, potrà alimentare l’ammodernamento infrastrutturale in America. Il completamento del piano è previsto in 15 anni.

Il nuovo programma dovrà passare al Congresso dove incontrerà probabilmente l’opposizione dei Repubblicani, che non appoggiano l’aumento delle tasse. Con la sua proposta, infatti, Biden porterebbe la tassa sulle imprese al 28% dopo che i Repubblicani l’avevano tagliata al 21% con la riforma fiscale del 2017 (dal precedente 35%).

Il botta e risposta tra Biden e Amazon sulle tasse

Biden ha annunciato il “Recovery plan” americano in un intervento a Pittsburgh, la città dove il presidente ha inaugurato la sua campagna per la Casa Bianca nel 2019. Proprio nel suo discorso a Pittsburgh, Amazon è stata l’unica azienda di cui Biden ha fatto il nome tra le altre 91 della Fortune 500 che “usano varie scappatoie legali grazie alle quali non pagano un solo centesimo di tasse federali sugli introiti”, ha affermato il presidente. E intanto, ha proseguito Biden, le famiglie americane della classe media pagano un’aliquota del 20%. “Non voglio punirli, ma è profondamente sbagliato”, ha detto il presidente Usa.

“Se il credito d’imposta sulla ricerca e sviluppo è una ‘scappatoia’, è stata fortemente voluta dal Congresso”, ha replicato Amazon tramite Jay Carney, capo delle public policy and communications (ed ex dello staff del presidente Barack Obama). “L’R&D Tax credit esiste dal 1981, è stato rinnovato 15 volte con sostegno bipartisan ed è stato reso permanente in una legge firmata dal presidente Obama”, ha scritto Carney in un tweet.

Le polemiche sulla corporate tax

Nel 2019 ha suscitato grandi polemiche negli Usa (e non solo) il fatto che Amazon abbia pagato per due anni di seguito zero dollari di tasse federali. La “colpa” è nella riforma del fisco voluta dai Repubblicani nel 2017, sotto la presidenza di Donald Trump, che ha dato una consistente sforbiciata alle tasse per le aziende.

In più, le perdite accumulate negli anni in cui l’azienda di Jeff Bezos non era (di misura) profittevole si sono accumulate nella forma di credito fiscale. Ancora: i giganteschi investimenti che Amazon documenta come spese per la ricerca e sviluppo ricadono nelle agevolazioni per l’R&D. Per finire, con i pagamenti ai dipendenti in forma di stock option Amazon sfrutta un altro regime fiscale favorevole.

Nel 2019 Amazon ha cominciato a pagare le tasse federali sui suoi introiti, sborsando 162 milioni di dollari. Nel 2020 il fatturato totale dell’azienda di Bezos è di 386 miliardi di dollari. L’imprenditore è il miliardario numero uno al mondo con un patrimonio netto calcolato (anche in base alle quote azionarie di Amazon che possiede) in 177 miliardi di dollari.

Le Pmi contro Amazon: “Non vendete sulla piattaforma”

Non solo fisco: per il colosso dell’e-commerce i grattacapi prendono anche la forma di una “rivolta” delle piccole imprese. Si tratta in realtà di una protesta che coinvolge tutte le Big tech ma che ha messo nel mirino soprattutto Amazon: l’associazione americana Small business rising (Sbr) ha lanciato una campagna per convincere il Congresso a spacchettare le multinazionali che conducono attività in conflitto tra loro.

Si tratta di un tema già portato sotto i riflettori dai paladini dell’antitrust americani (come la senatrice Elizabeth Warren) e sostenuto anche da Biden. Anche da noi la Commissione europea ha aperto un dossier sulle pratiche di Amazon ipotizzando la concorrenza sleale: la commissaria all’Antitrust, Margrethe Vestager, ha inviato all’azienda uno “Statement of objections” preoccupata dal doppio ruolo del colosso dell’e-commerce, che vende prodotti di terze parti (ed è depositario delle informazioni dei venditori) ma è anche un loro concorrente con i prodotti a proprio marchio.

L’associazione delle Pmi americane concorda: la piattaforma di e-commerce può favorire i propri articoli a scapito dei merchant. Per questo, riporta il Wall Street Journal, il primo obiettivo della campagna di lobby di Sbr è agire in ottica antitrust sul marketplace di Amazon, definito “una delle principali minacce ai rivenditori indipendenti”.

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