Ammontano a 919 milioni di euro, quasi un miliardo, le imposte “perdute” dall’Italia negli anni 2013-2015 sugli affari conclusi da Google e Facebook nel Paese. E’ quanto emerge dallo studio di Lef-Associazione per la legalità e l’equità fiscale, presentato al convegno “Multinazionali e fisco”. Il conto per Google ammonta a 370 milioni e per Facebook a 549 milioni. Le imposte sul reddito complessivamente pagate nel 2016 da Facebook, Apple, Amazon, Airbnb, Twitter e Tripadvidor ammontano a quelle versate dalla sola Piaggio.
“La competizione assume carattere ‘patologico’ – spiega la ricercatrice, Tamara Gasparri – perché, nella più assoluta riservatezza, alcuni Paesi europei hanno consentito alle grandi multinazionali digitali di adottare schemi di pianificazione fiscale in grado di fare scendere le aliquote effettive fino allo 0,003%. Il territorio comunitario, con in testa Irlanda, Lussemburgo e Olanda, è diventato l’hub privilegiato di formazione di redditi non tassati o apolidi”.
Secondo l’analisi di Lef, l’opzione più semplice nell’immediato potrebbe essere “una qualche forma di prelievo alla fonte sui ricavi lordi facilmente tracciabili, escludendo in ogni caso qualsiasi applicazione unilaterale“, la linea su cui si sta muovendo l’iniziativa dei ministri delle Finanze di Italia, Francia, Spagna e Germania.
Secondo il viceministro dell’Economia, Luigi Casero la tassazione delle multinazionali digitali “è il tema fondamentale delle politiche fiscali nei prossimi anni”. “Dalll’obbligo di intervenire su questo campo – spiega – dipendono alcuni miliardi di tasse, non piccole somme Quanto può andare avanti un sistema economico dove alcune imprese pagano il 20% e altre lo 0,01%?”. Per disciplinare un contesto in “continua e rapida trasformazione” il viceministro fissa tre pilastri: “non frenare lo sviluppo del digitale”, “non gravare sui consumatori” tassando “le corporation e i profitti apolidi e non gli utenti” e valorizzare ogni apporto alla discussione su questo tema.
Per Unindustria “un intervento volto a istituire la cosiddetta web tax, ovvero un sistema di tassazione indirizzato a far pagare una adeguata tassazione alle multinazionali che ruotano attorno a internet, è giusto”.
“In ballo ci sono decine di miliardi di euro, o forse di più, e si tratta di risorse importanti che sarebbe iniquo non immettere nel circuito della fiscalità generale – spiega il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci – Risorse, quelle derivanti da un nuovo meccanismo tributario, che sono o sarebbero utili anche per riequilibrare il peso del fisco a vantaggio delle micro, piccole e medie imprese italiane”.
In vista del Digital Summit di Tallinn, in Estonia, in agendaoggi e domani i 4 grandi hanno definito la proposta comune: assicurare che per l’Iva lo stesso contenuto, prodotto o servizio sia soggetto all’imposta nello Stato membro Ue di consumo indipendentemente dalla natura fisica o digitale. Tassazione del reddito d’impresa in modo che i profitti tassabili, inclusi quelli derivanti da attività digitali, “siano attribuiti in modo appropriato là dove viene creato il valore”.
Per le imprese che spostano in paesi non Ue i profitti tassabili ottenuti nel mercato interno, “per rimpatriare nella Ue la quota di imposizione indebitamente trasferita offshore, la Ue potrebbe esplorare opzioni per un prelievo compensativo nel settore digitale (equalisation levy)”. I ministri avevano chiesto di definire una webtax “sul fatturato generato in Europa dalle società digitali”.
Nel paper che illustra la posizione dei quattro leader europei si afferma che “l’economia digitale ha conseguenze profonde sul modo in cui funziona il business e il modo in dovrebbe essere tassato”. Ciò implica “una profonda revisione degli attuali sistemi fiscali”. In particolare sull’Iva “non ha senso applicare un doppio standard che altererebbe le condizioni competitive del mercato e la capacita’ di crescita del business”. Quanto alla tassazione del reddito di impresa, l’attuale sistema per l’imposta sui profitti delle multinazionali si fonda sulla presenza fisica delle imprese e sulle funzioni condotte dagli staff.
Il tentativo non piace agli Usa: niente azioni unilaterali sulla web tax. L’avvertimento arriva dalla Camera di Commercio americana con sede a Bruxelles (AMCham EU). “Un’azione unilaterale metterebbe a rischio gli sforzi internazionali per risolvere le questioni fiscali – ha spiegato la presidente Susan Danger – La tassa sul fatturato per le aziende che operano sul web, come proposta dai quattro grandi Paesi dell’Unione, ridurrebbe gli investimenti, peserebbe sull’occupazione e penalizzerebbe le giovani aziende”.
La tabella di marcia decisa a livello europeo prevede che i 28 Paesi assumano una decisione entro l’anno e che nella primavera del 2018 la Commissione Uepresenti un progetto legislativo.