IL PROGETTO

Crollo del ponte Morandi, Genova si ripensa: si apre l’era smart working

Dopo la tragedia oltre 3mila lavoratori di imprese e PA hanno scelto di operare in modalità “agile”. L’assessore al Personale del Comune, Viscogliosi: “La spinta arriva dall’amministrazione pubblica”

Pubblicato il 30 Nov 2018

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Genova si ripensa e dopo il crollo del Ponte Morandi diventa la città dello “smart working”. La conformazione cittadina, le alluvioni e le allerta meteo avevano già attivato una sensibilità particolare nel territorio, al di là dell’input della normativa del 2017. Dal 14 agosto scorso nella città della Lanterna il lavoro agile è realtà.

“Su 14mila dipendenti della rete, già 3.000 sono in modalità smart working, in un programma iniziato un anno fa”, racconta l’assessore al Personale del Comune Arianna Viscogliosi. La “rete” di cui parla Viscogliosi è quella del progetto per lo “smart working” del Comune di Genova, al quale partecipano soggetti pubblici e privati: oltre al Comune, Regione, Azienda sanitaria regionale (Alisa), Camera di Commercio, Asl di Genova, Città Metropolitana, Università, Iit, Abb, Rina, Esaote, Costa Crociere, Siemens e Tim. Tutti riuniti in Comune per un nuovo protocollo sul lavoro agile e per fare il punto sulle singole esperienze e accelerare sullo smart working dopo il Morandi.

Il Comune aveva previsto il telelavoro per 500 dipendenti, pari al 10% dell’organico indicato dalla normativa sulla PA, ma ha già raccolto ben mille adesioni e indubbiamente l’esperienza del Ponte Morandi ha impresso un’accelerazione. “Siamo i primi a livello nazionale ad essere partiti con lo smart working in caso di alluvione e allerta meteo e siamo oggetto di studio dell’Enea”, ha spiegato Viscogliosi.

“Regione Liguria ha avviato la sperimentazione da settembre a partire dai residenti nelle aree urbane penalizzati dal crollo del viadotto sul Polcevera”, ha detto l’assessore Sonia Viale.

L’Asl cittadina, 4.500 dipendenti, sta avviando i primi progetti come pure Alisa (150 dipendenti) e l’ospedale Galliera. Tra gli altri aderenti alla rete, l’Iit ritiene di aver avuto un incremento del 30% nello smart working dal crollo del Ponte Morandi, con 77 su 441 dipendenti in telelavoro. Costa Crociere vede un programma di lavoro agile attivo per 800 dipendenti, con adesioni al 70% e nelle ultime giornate di allerta meteo rossa del 29 e 30 ottobre aveva circa 400 dipendenti in smart working. Siemens ha su Genova circa 300 dipendenti, per il 98% aderenti al telelavoro. Abb ha adesioni sopra il 50% tra i 400 dipendenti delle due sedi di Genova. In città Tim conta 610 dipendenti, 300 dei quali possono aderire al lavoro agile. Il Rina ha sottoscritto ad oggi 1.200 accordi individuali di smart working per 8.000 giornate. Camera di Commercio si attesta sul 10% dei propri 100 dipendenti.

Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2018 i lavoratori dipendenti che grazie a strumenti digitali adatti allo scopo godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro sono ormai 480 mila, in crescita del 20%. Una popolazione che si ritiene più soddisfatta dei lavoratori tradizionali sia per l’organizzazione del lavoro (39% contro il 18%) che nelle relazioni con colleghi e superiori (40% contro il 23%).

Oltre una grande impresa su due (il 56% del campione) ha avviato progetti strutturati di Smart Working, adottando modelli di lavoro che introducono flessibilità di luogo, orario e promuovendo la responsabilizzazione sui risultati (erano il 36% un anno fa). A queste, bisogna aggiungere un ulteriore 2% che ha realizzato una qualche iniziativa informale e l’8% che prevede di introdurre progetti nel prossimo anno, per cui complessivamente circa due grandi aziende su tre stanno già sperimentando una qualche forma di Smart Working. Il 59% delle grandi imprese ha introdotto nuove tecnologie digitali per supportare i progetti di Smart Working, mentre nel 27% delle imprese gli Smart Worker erano già dotati delle tecnologie necessarie.

Tra le Pmi invece lo Smart Working risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2017: l’8% ha progetti strutturati e il 16% informali. A differenza delle altre tipologie di organizzazioni però, è ancora elevato il numero di realtà che si dichiarano completamente disinteressate all’introduzione di questo nuovo modo di lavorare (38%).

L’Osservatorio ha anche analizzato un campione di 358 PA con più di dieci addetti. La Pubblica Amministrazione – dopo il primo slancio dato dalla riforma Madia – sta finalmente compiendo i primi passi avanti, ma siamo ancora all’inizio del percorso. L’8% degli enti pubblici ha avviato progetti strutturati di Smart Working (in crescita rispetto al 5% un anno fa), l’1% lo ha fatto in modo informale, un altro 8% prevede iniziative il prossimo anno. Ma la maggioranza ancora non si è mossa: nel 36% delle Pubbliche Amministrazioni lo Smart Working è assente ma di probabile introduzione, nel 38% incerta, il 7% non è interessata.

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