CYBERCRIME

Cyberattacco a Intesa Sanpaolo e Unipol? Le due banche negano

Gli hacker di Ghost Italy pubblicano online un lungo elenco di e-mail, numeri di telefono e password. Ma gli istituti: “Non sono stati violati i nostri archivi, ma di fornitori esterni. Dati comunque inutilizabili perché protetti da crittografia”

Pubblicato il 28 Set 2015

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L’attacco hacker a Intesa Sanpaolo e Unipol non ha portato alla “compromissione di dati interni” delle banche stesse. E’ quanto emerge, lo scrive l’Ansa riportando fonti investigative, dopo le prime verifiche della Polizia Postale, che ha immediatamente avviato degli accertamenti per capire la natura e la provenienza dell’intrusione. L’indagine è alle prime fasi ma i primi controlli effettuati sembrerebbero confermare che i dati che sono stati resi noti dagli hacker riguarderebbero fornitori esterni dei due istituti di credito.

A rivendicare l’azione contro i due istituti di credito è stata Ghost Italy, una cellula esterna di Anonymous Italia, che ha pubblicato un lungo elenco di mail, numeri di telefono e password. “L’attacco è stato anche fatto per dimostrare quanto loro (le banche, ndr) non tengano ai nostri dati ed alla nostra privacy, pagano con i nostri soldi milioni di euro per proteggerci ed alla fine lo fanno invano. Quando abbiamo violato Intesa, in essa c’erano novanta database”, hanno spiegato a Repubblica.it gli attivisti.

I due gruppi finanziari negano tuttavia intromissioni nei loro sistemi rinviando piuttosto a violazioni negli archivi di fornitori esterni. E negano pericoli per la privacy dei clienti. Intesa Sanpaolo segnala in particolare che i sistemi della banca non sono stati oggetti di intrusione dall’estero ed esclude impatti sulla propria clientela. I dati riportati nella pagina Facebook – spiega l’istituto – appartengono al personale della banca e sono a disposizione di un fornitore esterno. Tranquilla anche Unipol: il gruppo assicurativo smentisce che ci siano state intromissioni nei propri sistemi.

Inoltre, dicono le due banche, i dati sono inutilizzabili perché, come le password a disposizione del fornitore non corrispondono a quelle reali. Gli hacker, quindi, non avrebbero a disposizione le chiavi crittografiche corrette per rendere le informazioni realmente fruibili.

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