Rimediare ai danni subiti dalla criminalità informatica costa alle aziende 400 miliardi di dollari l’anno. Un dato che spiega la crescita del mercato della cybersecurity in tutto il mondo: un settore che nel 2015 è cresciuto del 9,8%, sviluppando un giro d’affari da 75 miliardi di dollari, destinato ad aumentare progressivamente fino al 2020, quando toccherà i 170 miliardi. Sono i dati che emergono dalla ricerca “L’industria della cyber security per la competitività del sistema imprenditoriale italiano”, realizzata da Nomisma per ITway e presentata oggi a Roma.
Focalizzando l’attenzione sul vecchio continente, il mercato europea è in linea con il resto del mondo, ed è destinato a raggiungere i 35,53 miliardi di dollari entro il 2019. Nel caso specifico dell’Italia, secondo i dati del rapporto Assinform 2015, il mercato sembra consolidare il percorso di crescita iniziato nel 2013 e registra un’espansione del 2%, pari a 772 milioni di euro. L’andamento più vivace è quello registrato dal comparto software (+3,5%), ma anche i servizi hanno registrato un +1,6%. Nel 2014 l’unico segmento in contrazione è stato quello dell’hardware, in flessione dell’1%.
“Nel 2014 il 95% delle imprese e connesso a Internet in banda larga da fisso o mobile. Il 63% delle famiglie dispone di un accesso a Internet. Serve conoscenza e coerenza nell’utilizzo di questi strumenti – afferma Andrea Farina, presidente del gruppo ITway – perché offrono grandi opportunità, ma sono anche portatori di rischi. Per affrontarli servono nuove forme di collaborazione. La collaborazione porta protezione e resilienza, che a sua volta crea resistenza agli tacchi informatici oggi in grande aumento”.
Negativa, secondo la ricerca di Nomisma, la dinamica degli investimenti digitali nella pubblica amministrazione. Per il 2014 nelle amministrazioni centrali si è rilevato un calo della spesa del 2,6% (contro il -11,6% del 2013), imputabile prevalentemente alle componenti di servizi Ict, mentre per quelle locali la dinamica negativa ha fatto registrare un calo del 2,1% per un valore complessivo dei mercato pari a 1.237 milioni di euro. Il settore delle imprese che offrono tecnologie e servizi avanzati nel settore Ict conta in Italia più di 75.000 aziende e 456 mila addetti, concentrati principalmente nell’ambito dei servizi (circa il 70%), nel software (23%), telecomunicazioni (5%) e produzione hardware (1,5%).
“La sicurezza è un elemento indispensabile per la competitività delle imprese – commenta Giulio Santagata, ministro per l’Attuazione del programma tra il 2006 e il 2008 nel Governo Prodi e oggi consigliere Nomisma – Prima a garantire la sicurezza erano la fiducia reciproca e i rapporti personali, ma oggi quel modello non è più valido. Oggi le informazioni sia cambiano a livello informatizzato e su scala mondiale, non si può più fare riferimento al valore di una stretta di mano. Non è più sufficiente che io faccia sicurezza nella mia impresa, deve essere l’intero sistema a essere sicuro. Purtroppo c’è ancora una scarsa consapevolezza di questo fenomeno: a dare l’esempio deve essere la pubblica amministrazione, che deve garantire ai cittadini che le informazioni che veicola sono sicure”.
L’indagine di Nomisma, condotta su un campione di 87 società di capitali, ha evidenziato come la maggior parte delle imprese del comparto sia di piccole e medie dimensioni (il 73% presentava nel 2013 un valore di ricavi al di sotto dei 5 milioni) e “giovani”, costituite a partire dall’anno 2000. I ricavi delle vendite mostrano un andamento crescente, +16,8% nel quadriennio 2009-2013, che sottolinea una sostanziale tenuta anche nel periodo di congiuntura negativa. Come per il fatturato, anche per il risultato operativo la dinamica 2009-2013 mostra un trend di crescita, con un incremento complessivo a fine periodo pari al +10,6%.
A fronte di un incremento del volume di affari e del risultato operativo, l’utile delle imprese monitorate risulta però in calo di circa 30 punti percentuali anche se, rispetto al 2009, nel 2013 la quota di aziende che ha ottenuto un risultato economico positivo è aumentata passando dal 76% al 79%. Il calo complessivo dell’utile, emerge dalla ricerca, deve leggersi quindi come un’oggettiva difficoltà delle imprese nel guadagnare quote di mercato che consentano un adeguamento all’incidenza dell’incremento dei costi sul fatturato.
“Il sistema industriale dedicato alla sicurezza cibernetica – sottolinea Piera Magnatti, curatrice dello studio – ha le capacità e le risorse per riorganizzarsi e continuare a crescere, ma non mancano gli aspetti critici: una domanda scarsamente consapevole e una declinazione poco chiara circa il ruolo che le imprese per la sicurezza cyber possono giocare”.