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D’Angelo: “La nuova Rai sia strumento contro la povertà digitale”

Le strategie di innovazione della tv pubblica devono andare verso l’inclusione di tutti i cittadini che non accedono alle informazioni. E l’Ict gioca un ruolo chiave

Pubblicato il 06 Ott 2014

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Si annuncia per le prossime settimane un intervento del Governo sulla Rai. Dopo il prelievo forzoso su parte dei suoi introiti e dopo l’annunciata vendita di quote di Rai Way, ora è il momento di mettere mano al canone e forse, con qualche mese di lavoro in più, alla sua governance. Per il canone, che il nostro Presidente del Consiglio vuole simbolicamente se non togliere quantomeno ridurre si vocifera di una sua riduzione a 30 o 40 euro da pagare insieme con la bolletta della luce e di ulteriori somme da destinare alla Rai mediante un’aliquota su proventi derivanti da lotterie.

C’è da essere contenti? Molti non credono alla necessità che permanga un’istituzione come la Rai. A questo stato di cose ha contribuito il generale sfavore verso il “pubblico”, la feroce lottizzazione politica e la gestione industriale dell’azienda. E a vedere certi conti o certi programmi è difficile dar torto ai suoi detrattori. Altri invece più in mala fede sono spinti dal desiderio di favorire ancora di più i principali concorrenti terrestri e satellitari. Il punto però non è “rottamare”, ma quello di rendere la Rai più moderna e liberata dal giogo politico che l’ha rovinata. Esiste in Europa, e più acutamente in Italia, un tema di legittimazione del servizio pubblico presso i cittadini, i quali in maggioranza lo ritengono ormai uno spreco. Tuttavia, bisognerebbe andare cauti se é vero come è vero che l’Europa ha fatto di queste istituzioni culturali un caposaldo dei diritti di cittadinanza. Dunque una nuova legittimazione collegata ad un cambio di missione anche in rapporto con lo sviluppo delle piattaforme tecnologiche.

Il mondo convergente rende paradossalmente ancor più necessaria l’esistenza di un servizio pubblico nella lotta alla povertà digitale. La sua sopravvivenza ha una funzione primaria in un tempo in cui avanza una nuova marginalità collegata all’impossibilità tecnica ed economica di molti ad accedere alle informazioni. Avere in astratto tante possibilità di informazione e di contenuti non significa che venga meno l’interesse a che vi sia un soggetto indipendente che assicuri determinate garanzie. Ad esempio, più che mai su internet si pone il problema dell’accesso e dell’affidabilità delle notizie, laddove quelle giornalistiche sono sempre più coperte dal copyright.

Questo può essere in parte risolto dalla scelta di chi opera in rete o dalla reputazione di chi immette i contenuto. Ma resta una grande incertezza. Come colmarla? Il servizio pubblico dovrebbe avere l’obbligo per statuto di produrre informazione garantita anche sulla rete, quanto a verifica delle fonti, qualità, indipendenza e gratuità. Oggi poi deve aggiungersi la garanzia di livelli minimi di servizio uguali per tutti. Ci potrebbero essere infatti tanti soggetti che svolgono un ruolo proficuo sul piano del pluralismo informativo o dell’offerta di contenuti, ma non saremo mai sicuri che tale condizione, in assenza di un servizio pubblico nazionale, sia presente in tutte le complesse articolazioni del paese. Problema che risulta con evidenza proprio nell’accesso ai contenuti. Se a questo si aggiunge il costo dei contenuti, si rischia di avere una parte della società che gode di una partecipazione informata e di prodotti di qualità e un’altra che deve accontentarsi di un’offerta scadente. Più che rottamare sbrigativamente la Rai sarebbe bene avviare un serio e trasparente confronto, a meno che tutto ormai sia già scritto: un duopolio informativo e politico della tv, senza Rai e con altri protagonisti.

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