In principio era il Couchsurfing: giovani di tutto il mondo che mettevano gratuitamente a disposizione dei turisti la propria casa per brevi soggiorni. Era il 2003 e la sharing economy cominciava lentamente a prendere forma oltreoceano. Attraverso questo sito, www.couchsurfing.com, creato per hobby e senza alcuno scopo di lucro dal programmatore statunitense Casey Fenton, aveva cominciato a far capolino un nuovo modo di concepire il turismo: piattaforme web che assecondano la volontà dei privati cittadini di mettersi in rete e offrire servizi d’accoglienza fino al giorno prima appannaggio delle imprese turistiche, hotel e catene alberghiere. In dieci anni quello che era nato come un esperimento sociale è diventato un nuovo modello di business con forti impatti sul settore, tanto che secondo l’ultima indagine di Collaboriamo.org, oltre il 10% delle piattaforme collaborative appartiene oggi al mercato dell’accoglienza. E nella gran parte dei casi si è passati da un’offerta gratuita a una a pagamento. Insomma la gratuità, cardine dell’economia della condivisione, è stata messa da parte, ma è rimasta la logica del peer to peer, ossia dello scambio tra pari. Il tutto grazie alle nuove tecnologie informatiche, ai colossi del web che si propongono come intermediari tra domanda e offerta e guadagnano una percentuale su ogni transazione eseguita.
“Il turismo si conferma uno dei comparti più attivi dopo quelli di finanza e trasporti quanto a capacità di dare vita a progetti di sharing economy”, rileva Marta Mainieri di Collaboriamo.org, associazione che ha realizzato una vera e propria mappatura di tutte le iniziative in tal senso.
Nel 2015, complici i grandi eventi come l’Expo e il Giubileo straordinario, le piattaforme turistiche 2.0 anche in Italia sono nettamente aumentate. “Ne contiamo circa 17”, prosegue Mainieri, “si è registrato un incremento significativo soprattutto di quelle applicazioni in grado di far interagire i turisti e privati cittadini che si propongono come accompagnatori alla scoperta delle bellezze artistiche delle città italiane, come ad esempio Curioseety, NativeCicerone e PiacereMilano. Poi c’è l’home sharing: il business delle case affittate dai privati per le vacanze. Su questo meccanismo semplice hanno costruito imperi miliardari Airbnb e Homeaway, piattaforme web dove s’incontrano domanda e offerta di spazi abitativi per soggiorni di piacere. La prima oggi sul mercato vale 25,5 miliardi di dollari, più di catene alberghiere consolidate come il Marriot Hotel, e la seconda nell’ultimo anno ha visto lievitare vertiginosamente il suo giro d’affari, soprattutto nel Bel Paese. “In Italia il fenomeno dell’home sharing è molto cresciuto: solo quest’estate la domanda ha subito un incremento del 17%, sia per l’Expo sia per altri eventi turistici. Con il Giubileo straordinario sulla piazza di Roma sono arrivati oltre9mila annunci di case da affittare”, racconta Elisabetta Luise, Pr manager per l’Italia di Homeaway.
Dalle gite in barca alle passeggiate in montagna: ormai quasi ogni esperienza turistica trova cittadinanza sulle piattaforme collaborative. Sailsquare, sito che mette in contatto i proprietari d’imbarcazioni con gli amanti della vela per organizzare vacanze in mare, e Social trekking, dove gli appassionati delle escursioni si propongono come guide alla scoperta dei parchi naturalistici, sono un esempio di questa tendenza.
Tuttavia, se è vero che iniziative di questo tipo e la platea a cui si rivolgono sono in crescita, poche di esse riescono a creare valore in termini economici.
“Il volume d’affari è piccolo, se si escludono colossi del web globali, che hanno a disposizione ingenti capitali da investire nella comunicazione e nell’engagement. In Italia le start up non riescono a trovare finanziamenti forti”, spiega Davide Pellegrini, Presidente di Sharing Italia.
Certamente un conto è gestire una piattaforma dove giornalmente transitano 800mila persone, un altro averne una che a malapena ne riesce ad attirare qualche migliaia. Ma secondo Pellegrini per misurare il valore della sharing economy applicata al turismo si deve andare ben oltre il dato economico.
“Quello che è più rilevante è il valore sociale di queste iniziative, con lo scambio e la collaborazione tra cittadini per valorizzare le città”. Insomma, il valore aggiunto per il Presidente di Sharing Italia è un altro: riportare alla dimensione della gratuità e della condivisione, a beneficio di cittadini e territori, tutte quelle attività e quei servizi che la società di mercato tradizionalmente mette in vendita.