La ricchezza del Vecchio continente passa per le reti dati, che adesso diventano senza fili. E lo switch richiede il riposizionamento delle frequenze assegnate al digitale terrestre, cioè alla Tv. Una riforma delle frequenze che però manda in fibrillazione gli operatori televisivi, i quali si oppongono in tutti i modi.
L’Italia, ed è cronaca di questi giorni, chiede una proroga, ma nel medio periodo l’uscita dei canali Tv dalla banda 700 MHz per far entrare le comunicazioni dati a banda larga dei cellulari 4G e 5G è inevitabile. E una riforma sarà necessaria. Intanto, la commissione Lavori pubblici del Senato e quella Trasporti della Camera hanno emesso parere negativo alla proposta di legge europea che prevede il passaggio per il 2020, chiedendo due anni in più, come inizialmente previsto dal rapporto Lamy e successivamente smentito dalla Commissione Ue.
È solo l’ultima mossa di una partita a scacchi tra i brodcaster europei e il legislatore che somma allo switch-off delle frequenze anche quello per il passaggio dall’attuale digitale terrestre di prima generazione a quello di seconda, a partire dal gennaio 2017. Una tappa molto temuta questa perché, a differenza del primo switch-off che ebbe un lungo periodo di transizione, questa volta non sono disponibili neanche le frequenze per adoperare un approccio a due standard paralleli. E il tema di fondo tra DVB-T e DVB-T2 HEVC (questo il nome della seconda versione del digitale terrestre con codec video più efficiente) è che non c’è valore per i consumatori, che sostanzialmente continuerebbero a vedere i canali televisivi di oggi.
C’è ancora fluidità sulle date, e timori di sovrapposizione ad esempio con gli appuntamenti politici di alcuni dei paesi membri (in Italia si vota nel 2018) e comunque lo spazio per la televisione è garantito almeno fino al 2023: poi sarà l’ITU a decidere cosa fare. E il futuro sembra quello dello spegnimento definitivo delle frequenze e il passaggio delle trasmissioni ad altre tecnologie.
L’allontanamento nel tempo infatti non fa che rinviare un cambiamento più profondo: la liberazione dei canali televisivi dei 700 MHz e poi sub-700 a favore di una tecnologia, l’LTE, che potrebbe invece portare con sé una alternativa, l’LTE Broadband.
Il cambiamento è stato deciso in sede planetaria, ben oltre l’Ue. L’ultima tappa è stata la decisione presa lo scorso novembre a Ginevra dall’ITU, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, nel corso della sessione chiamata WRC-15 riguarda tutta l’area 1: Europa, Africa, Medio oriente e Asia centrale. L’allocazione del fascio di frequenze comprese tra 694 e 790 MHz alla banda larga mobile “rappresenta un punto di riferimento per lo sviluppo della banda larga su scala mondiale senza che entrino più in gioco fattori come il posto in cui ci si trova, la rete o il tipo di terminale usato”, ha detto il segretario generale dell’Itu, Houlin Zhao.
Infatti, “l’armonizzazione globale delle frequenze 694-790 – ha detto il direttore dell’ufficio radiocomunicazioni dell’Itu, François Rancy – decisa dalla WRC-15 prepara la strada per i produttori di apparati e per gli operatori mobili che potranno offrire banda larga in mobilità a prezzi accessibili nelle aree attualmente sotto-servite”. Se l’obiettivo per quanto riguarda la standardizzazione globale e l’uniformizzazione delle frequenze e delle tecnologie utilizzate è quello di dare il massimo della diffusione alla banda larga mobile, la ricaduta sulla televisione come la conosciamo oggi, ovvero il modello tradizionale ibridato ma non trasformato dal digitale terrestre (rispetto ai modello on demand offerti via internet) viene rimesso profondamente in discussione.
Le frequenze attorno ai 700 MHz sono pregiate perché tecnicamente capaci di ottimizzare il rapporto tra la penetrazione all’interno degli edifici con la portata e senza richiedere una eccessiva potenza di trasmissione. Da noi le possiedono storicamente le televisione ma solo per una congiuntura storica: erano “libere” da altri impieghi e sono state utilizzate per trasmissioni da torri ad alta potenza che vengono captate da grandi antenne poste sui tetti.
Un paradosso, perché il reale pregio di questa fetta di spettro sta nel poter trasmettere con potenze minori ed essere ricevuto all’interno degli edifici. La scelta quindi ha motivazioni tecniche oltre che economiche ineccepibli. Tanto che per il mobile broadband si parla di secondo dividendo digitale, mentre la perdita per l’industria televisiva sarà invece un colpo molto duro, che probabilmente manderà KO una serie di assetti industriali attualmente in forte crisi di trasformazione dettata sia dal mercato tecnologico che dal cambiamento delle abitudini al consumo dei pubblici. Netflix e Youtube sul telefonino a banda larga contro i canali del digitale terrestre, insomma.
Emerge l’LTE Broadcast come opportunità per la Tv: la tecnologia eMBMS (Multimedia brodcast Multicast Service) permette agli utenti di apparati con modalità di connessione LTE e software adeguato di vedere programmi televisivi trasmessi “in piccolo” in un circuito geograficamente limitato e più efficiente: bastano tre o quattro terminali connessi per rendere efficiente tecnologicamente questa modalità di trasmissione. Meglio di Internet.
Per questa trasformazione l’Unione europea e i singoli stati decidono molti particolari di non secondaria importanza, come ad esempio la tempistica e poi la regolamentazione delle nuove torri “low tower, low power” adatte alle trasmissioni LTE Brodcast che faranno piazza pulita delle attuali infrastrutture “high tower, high power” utilizzate dai brodcaster tradizionali.