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Data Act, il 40% delle aziende al lavoro. Bassoli: “Ora o mai più”



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Secondo un’indagine di Hpe le imprese tricolori considerano un’opportunità la nuova legge Ue che entrerà in vigore nel 2025, ma c’è ancora da fare per sfruttarne al meglio le potenzialità e abbattere i rischi. Si stima un aumento del pil lordo Ue di 270 miliardi entro il 2028. E grazie all’analisi dei dati in tempo reale, risparmi del 10-20% nei settori dei trasporti, dell’edilizia e dell’industria

Pubblicato il 3 set 2024



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Il Data act europeo è un’opportunità per i due terzi delle aziende italiane del settore industriale e il 40% si sta già preparando all’entrata in vigore della legge, prevista nel settembre del 2025. Ma il cammino è ancora lungo, soprattutto se le nostre imprese vogliono ridurre i rischi e massimizzare le opportunità che intravedono. È quanto rivela uno studio di Hewlett Packard Enterprise (Hpe) basato su un’indagine condotta tra marzo e aprile 2024 su oltre 400 dirigenti di aziende del settore industriale in Italia, e condotta grazie a Yougov, società di ricerche di mercato.

“Ora o mai più: il Data act può rappresentare un passo decisivo per rendere l’Europa leader nella data economy“, ha affermato Claudio Bassoli, amministratore delegato di Hewlett Packard Enterprise Italia. “La nostra indagine mostra che le aziende in Italia riconoscono il potenziale di opportunità che la regolamentazione sui dati può generare. Per realizzare tale potenziale è però necessario che mettano l’estrazione dai dati di informazioni capaci di generare valore al centro della loro strategia aziendale. In questo campo c’è ancora molto lavoro da fare: il cambiamento non avverrà dall’oggi al domani, ma richiederà una trasformazione a tutti i livelli. Hewlett Packard Enterprise è impegnata in prima linea per accelerare la trasformazione digitale delle aziende con un’analisi accurata e approfondita dei loro dati, mantenendoli al tempo stesso nella totale disponibilità e proprietà delle aziende stesse”.

Data act, per le imprese italiane più opportunità che rischi

L’obiettivo del Data act è quello di dare una spinta alla data economy in Europa, imponendo ai produttori di prodotti e servizi correlati di mettere a disposizione degli utenti, su richiesta, i dati generati dall’uso dei loro stessi prodotti/servizi all’interno dell’Ue. Gli utenti – privati o società/organizzazioni del settore pubblico – possono anche trasmettere i dati a terzi e far sì che questi li possano usare.

Ciò rende disponibili per la data economy grandi quantità di dati sui prodotti, che in precedenza erano controllati esclusivamente dai produttori. La Commissione europea stima che la nuova legge porterà a un aumento del prodotto interno lordo dell’Ue di 270 miliardi di euro entro il 2028, oltre a risparmi del 10-20% nei settori dei trasporti, dell’edilizia e dell’industria grazie all’analisi dei dati in tempo reale.

L’anno scorso, tuttavia, le associazioni di categoria e gli amministratori delegati delle grandi aziende hanno espresso aspre critiche. In particolare, si sono soffermati sulla minaccia che l’obbligo di condividere i dati rappresenterebbe per i segreti commerciali e quindi anche per il vantaggio competitivo dei produttori europei. Il Data act, a detta loro, rischia di ottenere l’opposto di ciò che si prefigge.

Ma la percezione di molte aziende del settore industriale in Italia è differente: secondo l’indagine, infatti, il 68% degli intervistati afferma di vedere il Data act più come un’opportunità per la propria azienda che come un rischio. E, in particolare, la maggior parte degli intervistati (63%) vede il potenziale dell’utilizzo dei dati di prodotto per ottimizzare e automatizzare i processi.

Ai e digital twin, l’industria pronta per la data economy

Fino a oggi, ad esempio, i responsabili di produzione hanno potuto accedere ai dati di utilizzo delle macchine solo nell’ambito dei servizi forniti dal rispettivo produttore. In futuro, saranno in grado di aggregare i dati delle macchine di diversi produttori e di ottimizzare così interi processi produttivi, ad esempio attraverso la creazione di un digital twin del processo produttivo o l’implementazione della produzione a circuito chiuso.

La seconda area di applicazione dei dati di prodotto più citata è il training delle intelligenze artificiali (35%). La stragrande maggioranza degli intervistati vede attualmente nella mancanza di dati in quantità, qualità e varietà sufficienti uno dei maggiori ostacoli al successo dell’utilizzo dell’Ai (37% d’accordo, 49% parzialmente d’accordo); di conseguenza sono alte le aspettative di miglioramento delle loro esperienze di Ai utilizzando le nuove fonti di dati rese disponibili dal Data act.

Altri casi d’uso spesso citati includono nuovi modelli di business basati sui dati (34%) e il miglioramento della collaborazione con terze parti (33%), anche per ottimizzare i costi.

La protezione dei segreti commerciali è la prima sfida

L’indagine riconosce che la sfida maggiore posta dal Data act è quella di filtrare o proteggere i dati riservati e personali durante la raccolta degli stessi (46%), cui seguono le difficoltà di natura legislativa (38%). Inoltre, gli intervistati temono che la divulgazione dei dati di utilizzo dei loro prodotti possa consentire il reverse engineering (32%).

Per sfruttare le opportunità offerte dal Data act e minimizzarne i rischi, le aziende hanno bisogno di competenze in aree come quelle della data strategy, data governance, data security e data technology (come le piattaforme dati e l’Ai). A questo proposito, Hpe ha mappato le competenze rilevanti in un modello di data maturity, i cui criteri sono utilizzati per valutare la reale capacità di un’organizzazione di creare valore dai dati. Alcuni di questi criteri sono stati indagati anche nel sondaggio Hpe.

Competenze e data maturity: a che punto siamo in Italia

Il modello Hpe prevede cinque livelli di maturità, di cui il livello 1 (la cosiddetta “anarchia dei dati”) è il più basso mentre il 5 (la “data economy”) è il più alto. In media, le aziende italiane intervistate hanno raggiunto un livello di maturità dei dati pari a 2,7: si trovano quindi al livello “data reporting”, in cui i dati vengono utilizzati principalmente per valutare retrospettivamente e periodicamente il successo delle attività aziendali (come i dati di vendita o la soddisfazione dei clienti). In questa fase, tuttavia, le aziende sono ancora lontane dal raggiungimento del livello più alto, in cui i dati interni ed esterni vengono sfruttati in modo strategico ed efficace per la creazione di valore (ad esempio, sotto forma di prodotti e servizi basati sui dati).

Ad esempio, solo il 7% degli intervistati afferma che la strategia sui dati è una parte fondamentale di quella aziendale e che i prodotti e i servizi basati sui dati stati hanno un’importanza fondamentale per il loro modello di business.

Per quanto riguarda la governance dei dati, quasi la metà degli intervistati (42%) afferma che è oggi principalmente competenza del dipartimento It, seguito dagli altri dipartimenti (19%), per poi arrivare al 18% che invece sostiene di essere dotato di una governance che consente a tutta l’azienda di avere ruoli, policy e strumenti definiti nella gestione dei dati.

Il Data act spinge le imprese verso cloud ibrido e multicloud

Il Data act mira anche al rafforzamento della concorrenza nel mercato del cloud e offre alle aziende una maggiore libertà di scegliere e combinare le piattaforme più adatte alla loro data strategy. A tal fine, i fornitori di cloud saranno obbligati a rendere più semplice per i loro clienti il passaggio ad altre piattaforme cloud e, dopo un periodo transitorio, a rinunciare alle spese di passaggio (in particolare quelle per l’esportazione dati). Inoltre, il Data act prevede misure per migliorare l’interoperabilità delle piattaforme cloud.

Secondo l’indagine di Hpe, questa parte del Data act porterà a una maggiore predisposizione delle aziende a cambiare e a diversificare i propri ambienti cloud. Solo il 20% degli intervistati ritiene che il Data act non sarà un motivo sufficientemente valido per cambiare la propria strategia per il cloud. La maggior parte dei dirigenti (43%) afferma che la propria organizzazione si orienterà verso una strategia di cloud ibrido, combinando più piattaforme cloud con i propri sistemi It. Inoltre, i manager hanno dichiarato che sposteranno più dati e applicazioni nel cloud (31%) da un lato e, dall’altro, porteranno i dati stessi e le applicazioni all’interno del proprio ecosistema It (18%).

Questo sviluppo è in linea con la strategia di Hpe. L’obiettivo è aiutare i clienti a sfruttare il valore di tutti i loro dati, indipendentemente dal luogo in cui vengono generati e archiviati. La piattaforma edge-to-cloud Hpe GreenLake offre ai clienti la libertà di scegliere le piattaforme più adeguate per i propri dati e applicazioni con un modello operativo unificato tra on-premises, data center e cloud. Soluzioni software come Hpe Ezmeral Unified Analytics e Hpe Ezmeral Data Fabric consentono l’accesso unificato ai dati in ambienti ibridi multi-cloud e includono un ecosistema di strumenti e modelli per l’analisi dei dati e l’Ai. Ciò consente ai clienti di controllare i propri asset di dati, industrializzare la supply chain dei dati e utilizzarli in modo produttivo per la creazione di valore.

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