L’INTERVENTO

Data center e cloud, Zunino: “L’Italia rischia di diventare una preda delle big tech”



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L’affondo del presidente del Consorzio Italia Cloud: “Gli hyperscaler annunciano grandi investimenti nel nostro Paese, ma quali saranno le effettive ricadute economiche e occupazionali sui territori? La realtà è che stanno depredando risorse e ipotecando la capacità di sviluppo autonomo dei prossimi decenni. La politica intervenga”

Pubblicato il 15 nov 2024



2024 Michele Zunino_Presidente Consorzio_ld

Analizzando le forze in campo in ambito di sviluppo cloud e sviluppo digitale tout court occorre evidenziare che, da una parte ci sono gli investimenti miliardari proclamati dalle big tech, che hanno messo nel mirino l’Europa meridionale e l’Italia in particolare, dopo anni dedicati ai più maturi mercati nel nord, e dall’altra troviamo le tesi –sempre più diffuse e argomentate- a favore di una maggiore attenzione alla sovranità digitale, agli operatori locali e alla relativa filiera.

L’evoluzione dello scenario

L’ultima ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano calcola in 94 miliardi di dollari gli investimenti 2024 in Europa dei primi 8 cloud provider al mondo: il solo podio (saldamente occupato da Aws, Microsoft e Google) vale oltre il 65% dell’intero mercato continentale.

Il Prefetto Bruno Frattasi, a capo dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, nel contesto di ComoLake2024 ha sottolineato non solo la rilevanza per la sovranità a livello europeo, ma ha riaffermato l’importanza di quella nazionale, anzi delle varie sovranità degli Stati membri, interpretandole come anelli di una catena che devono essere tutti resilienti per non creare falle nell’intero sistema.

Quello digitale è evidentemente un sistema interconnesso, e credo che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che un sistema omogeneo e produttivo è costituito da elementi che operano all’interno di un insieme di obiettivi e interessi comuni. Se così non è, il rischio è che si tratti di agglomerati in cui alcuni organismi ricavano energie e nutrimento a discapito degli altri.

Quali sono gli interessi degli hyperscaler?

Al di là delle dichiarazioni, serve avere la lucidità di chiederci quali siano realmente gli interessi degli hyperscaler che annunciano grandi investimenti nel nostro Paese, quali saranno le effettive ricadute economiche e occupazionali sui territori teoricamente interessati dagli interventi, e quale sarà la ricaduta industriale rispetto alle politiche di crescita del Paese. E avere la capacità analitica e l’onestà intellettuale di dare a tutte queste domande una risposta inequivocabile: siamo di fronte a una strategia predatoria da parte di soggetti stranieri che, palesando una filosofia di cooperazione, stanno in realtà depredando le risorse attuali e ipotecando la nostra capacità di sviluppo autonomo dei prossimi decenni.

L’Italia rischia di diventare succube

I data center sono un business che di per sé ha bisogno di pochissima forza lavoro, di competenze e tecnologie non particolarmente differenzianti. Sono le autostrade del digitale: necessarie, ma totalmente inutili in assenza di traffico veicolare. E invece è proprio nel traffico che si genera il vero valore: fuori dalle infrastrutture di base, ma piuttosto nelle piattaforme ospitate all’interno dei centri dati, nella potenza di calcolo espressa, nella capacità di memoria, ovvero in tutti quegli elementi che valorizzano le informazioni grezze e sono così importanti anche in chiave di intelligenza artificiale. Su questi elementi rischiamo di essere estromessi e di rimanere succubi dei pochi che li dominano, anche sfruttando i nostri dati – o comunque avendo in mano le chiavi di accesso al nostro posto.

È fondamentale che la politica acquisisca la piena consapevolezza su questa prospettiva, che sia in grado di leggere con chiarezza e lungimiranza il fenomeno e più in generale i fondamentali di questo mercato, spina dorsale del progresso economico, sociale e civile del nostro tempo. L’indipendenza digitale è infatti un tema regolatorio e di politica industriale di livello nazionale e sovranazionale: se ne discute nei Parlamenti nazionali e a Bruxelles, in commissioni dedicate agli ambiti più diversi, che vanno dal procurement della PA all’istruzione, dallo sviluppo economico alla privacy. Ne scrivono i giornali; arriva fino all’opinione pubblica, soprattutto in caso di spettacolari cyber-incidenti dalle conseguenze globali.

Il parere degli esperti

Il Professor Roberto Baldoni, che ha guidato l’Agenzia nazionale per la cybersecurity prima di Frattasi, ha scritto un libro sul tema, a breve disponibile in italiano: “Charting Digital Sovereignty: a Survival Playbook. How to assess and to improve the level of digital sovereignty of a country”. La considera un obiettivo da perseguire, nonostante le difficoltà di una “deglobalizzazione” sotto il profilo della gestione dei dati.

Ne parla anche Mario Draghi nel recente rapporto sulla competitività dell’UE: pur sostenendo che alcuni settori tech siano andati “perduti” nella competizione con i colossi extraeuropei (tesi a mio avviso felicemente controvertibile) afferma la necessità per le imprese europee di mantenere una presenza “in aree in cui la sovranità tecnologica è un requisito, come sicurezza e crittografia (soluzioni di cloud sovrano)”. L’impostazione non stupisce, essendo stato proprio il Governo Draghi a redigere la Strategia Nazionale di Cybersicurezza 2022-26 basandola, tra le altre cose, sul conseguimento dell’”autonomia nazionale strategica nel settore” e considerandola “come un investimento e un fattore abilitante per lo sviluppo dell’economia e dell’industria nazionale, al fine di accrescere la competitività del Sistema-Paese a livello globale”.

L’Ad di Leonardo ed ex Ministro, Roberto Cingolani ha affrontato in più occasioni il tema dell’indipendenza digitale, sostenendola in chiave di posizionamento strategico per lo sviluppo competitivo di un’industria italiana che si voglia protagonista nella difesa, nell’aerospazio, nell’intelligenza artificiale. In audizione alla Camera, pochi mesi fa, ha affermato che se è vero che l’Italia può contare su un eccellente livello accademico e una potenza di calcolo complessiva tutto sommato competitiva, deve invece attrezzarsi sul fronte della capacità di memoria con un cloud nazionale, per garantire lo storage richiesto dagli algoritmi avanzati.

L’indipendenza digitale è diventata una buzzword

L’indipendenza digitale è diventata una buzzword. Il rischio è quello di considerarla un concetto teorico, che non regge nella pratica di fronte allo strapotere delle big tech, delle loro inarrivabili economie di scala e degli standard di mercato da loro resi prevalenti.

Non è così. Esistono aziende italiane di eccellenza lungo tutta la filiera. Queste operano, anche in ottica collaborativa e federata, garantendo la massima sicurezza, affidabilità e resilienza dei sistemi. Esistono competenze distintive nel nostro Paese, con talenti riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo. La nostra politica industriale di lungo termine ha il dovere di mettere al centro questo fattore. Anche la commessa pubblica, attualmente orientata verso i grandi operatori stranieri, reindirizzandosi all’interno per una quota parte significativa, rientrerebbe in questa logica di valorizzazione, generando un circolo virtuoso strutturale.

Gli effetti della promozione della sovranità digitale

La promozione della sovranità digitale può portare anche a iniziative di formazione e sviluppo, favorendo l’adozione delle tecnologie emergenti. Non è un caso che anche in questo campo gli hyperscaler si stiano muovendo, offrendo programmi di formazione digitale a studenti anche pre-universitari: ricordiamoci che le competenze sulle quali vengono formati oggi i talenti determineranno le scelte dei futuri leader. L’autonomia digitale non limita le opzioni di scelta, anzi le amplifica, supportando una maggiore flessibilità e contrastando i lock-in, mentali ancora prima che tecnologici.

Viviamo in un mondo iperconnesso, ma altamente instabile, anche sul fronte degli approvvigionamenti di materie prime, tra cui le infrastrutture digitali. Appoggiarsi a un’infrastruttura nazionale robusta e sicura e puntare su un’innovazione gestita a livello nazionale aumenta la resilienza contro le crisi globali e le interferenze esterne, consentendo al Paese di proteggere i propri interessi in un contesto geopolitico in evoluzione. Oggi, la visione di un mondo senza confini fisici e digitali è in via di ripensamento e deve trovare un punto di equilibrio e un valido compromesso, una via possibile alla “deglobalizzazione”. Il ruolo della politica è quello di riconoscerlo con coraggio e visione, guidandoci nel percorso.

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