Data driven economy e data driven politics. Da qualche anno a questa parte si è acceso il dibattito su come i dati possano migliorare le scelte politiche ed economiche, comprese quelle più squisitamente di business. E l’emergenza sanitaria di questi mesi ha messo in risalto come oggi non avere dei processi decisionali data driven – e dunque dei dati “leggibili” e “sfruttabili” – a disposizione significa rinunciare a un vantaggio spesso determinante, qualunque sia il settore in cui si opera.
Secondo il Global Datashpere di Idc, la quantità di dati creati nei prossimi tre anni sarà superiore a quella creata negli ultimi 30 anni e la capacità di produrre dati nei prossimi 5 anni triplicherà rispetto ai cinque precedenti.
Per il filosofo Luciano Floridi però, “stiamo vivendo una preistoria digitale. La forbice fra i dati prodotti e la capacità di archiviazione mondiale va costantemente allargandosi. Una cultura sviluppata non si preoccupa soltanto di accumulare dati, ma ne ha anche cura: li analizza, li inserisce in un contesto, li interpreta”. Di qui la necessità di investire in processi che abilitino una comprensione profonda delle informazioni generate e la capacità di sfruttarli per mettere in campo strategie che creino valore per la società e per le imprese.
I social network sono un’incredibile miniera che può essere messa a disposizione di aziende e istituzioni per accelerare processi data driven.
Quattro i pilastri per estrarre valore dalle info, tutelando persone e aziende: la creazione di valore tramite il dato per le persone e la società; la privacy ovvero la garanzia di protezione e la possibilità per gli utenti di mantenere il controllo sulle proprie info; la fiducia ovvero la garanzia che quei dati serviranno a generare servizi a valore aggiunto per le persone e le aziende; la business integrity perché il data sharing deve rappresentare un driver di sviluppo e non di compromissione del brand aziendale.
Ma quali dati possono essere utilizzati? Si tratta di quelli generati dagli utilizzatori dei servizi, compresi i metadata e quelli relativi all’engaged behaviour, nonché quelli prodotti dalle aziende partner. Le info servono a sviluppare servizi personalizzati per gli utenti e alle imprese per la misurazione delle performance e per l’implementazione dei prodotti.
Di rilevanza anche la messa a disposizione dei dati agli sviluppatori per realizzare soluzioni innovative tramite la piattaforma di Api. Il valore dei dati e le strategie per realizzare una società che possa dirsi realmente data driven sono stati al centro del web talk organizzato da Facebook e Talent Garden: “Dalla ricerca all’applicazione del dato a sostegno della sanità”.
Con la pandemia da Covid-19, infatti, le informazioni che i social hanno a disposizione sono diventate un prezioso strumento per monitorare l’andamento del contagio. Un esempio, in questo senso, è il programma Data for Good di Facebook.
Il programma Data for Good di Facebook
Facebook ha esteso il suo programma no-profit “Data for Good” mettendo a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo nuovi strumenti per studiare e prevenire l’evoluzione del contagio da coronavirus. Si tratta di tre tipi di mappe che aiutano a capire sia i movimenti delle persone vicino o lontano da casa sia “l’indice di connessione sociale” per ipotizzare la diffusione del contagio e le probabilità che le persone in un’area vengano in contatto con le persone di un’altra area. Inoltre, solo per gli Stati Uniti e in collaborazione con il Centro di Ricerca Delphi della Carnegie Mellon University, è stato messo a punto un questionario che alcuni utenti vedranno comparire in cima al loro flusso di notizie su Facebook e in cui dovranno inserire il loro stato di salute in anonimato.
“Pensiamo che Facebook e l’industria tecnologica possono fornire modi innovativi per aiutare esperti e autorità in questa crisi. Non pensiamo che questi sforzi debbano compromettere la privacy”, ha spiegato Steve Satterfield, director of privacy and public policy di Facebook.
Le mappe di co-localizzazione mostrano la probabilità che alcuni gruppi di persone si incontrino fra loro: in questo modo si possono incrociare dati di spostamento e quelli sul contagio per identificare le “dorsali” entri cui si sviluppa l’epidemia. Le info di spostamento permettono di rilevare se le persone, stanno effettivamente a casa e capire se le misure di contenimento sono efficaci. Sono un indicatore molto utile per determinare se le misure di contenimento sono efficaci.
L’indice delle connessioni sociali è un aggregato più complesso: tramite l’analisi delle “amicizie” tra gli utenti del social blu si può provare a prevedere la diffusione del virus. Ma anche misurare la resilienza del tessuto sociale.
Sul fronte privacy, Facebook utilizza uno stringente procedimento di anonimizzazione, che rende impossibile ricondurre i dati aggregati ai singoli utenti. Le informazioni utilizzate, inoltre, provengono solo da quegli utenti che hanno esplicitamente accettato di condividere la cronologia dei propri dati di posizione nelle impostazioni del proprio account. I dati utilizzati per la creazione delle mappe arrivano solo ed esclusivamente da Facebook e non quelli provenienti da Instagram o da WhatsApp.
Al programma partecipano una decina di università. In Italia i nuovi strumenti di Data for Good sono utilizzati dal team di Stefano Denicolai, dell’Università di Pavia, e il Laboratory of Data Science and Complexity dell’Università di Venezia, guidato da Walter Quattrociocchi. Entrambi fanno parte della task force data driven nominata dal governo italiano per combattere l’emergenza Covid-19.