Poche banche hanno saputo sino ad oggi riconoscere e sfruttare il valore dei dati di cui dispongono. Da sempre esse raccolgono un’ampia base di informazioni sui loro clienti, retail e corporate, sia per finalità legate alla vendita di prodotti e servizi sia per finalità di gestione del rischio e della compliance. Pensiamo a quelli legati al reddito, alle abitudini di risparmio e investimento, o alle transazioni di pagamento.
Si tratta di un vero e proprio asset informativo che, se debitamente utilizzato, può generare un’opportunità non solo per migliorare l’efficacia delle campagne di up-selling e cross-selling, ma anche per generare nuove opportunità di valore.
La competizione in questo ambito non manca. Le banche non sono le sole società che dispongono in abbondanza di dati sui propri clienti. Pensiamo per esempio alle società di telecomunicazione o ai grandi vendor di device mobili. Attraverso l’analisi del traffico internet queste sono in grado di conoscere le preferenze e le abitudini di acquisto e lo stile di vita attraverso l’analisi dei dati di geolocalizzazione (e.g., frequenza e durata dei trasferimenti). Oppure le catene della grande distribuzione che attraverso l’analisi degli scontrini di acquisto e dei dati dei programmi di loyalty possono profilare individui e nuclei famigliari secondo le loro abitudini. E la lista potrebbe continuare con le piattaforme social.
A fronte dell’elevata intensità della competizione è pur vero che nessuna azienda ha a disposizione tutti i dati che consentano di avere una visione realmente a 360 gradi del cliente. Ciascuna dispone solo di un segmento di dati, di un pezzo più o meno ampio e rappresentativo del puzzle. Ed è questo il motivo che ha determinato nel tempo la nascita e il successo dei cosiddetti data broker. Si tratta di organizzazioni che raccolgono dati dalle più svariate fonti, li organizzando per venderli sul mercato, spesso in forma aggregata o creando cluster. I clienti tipici di questo mercato sono le direzioni marketing, che li utilizzando per impostare campagne su target specifici di popolazione.
Quali sono dunque le opportunità per una banca di monetizzare i propri asset informativi? Esistono differenti possibili modelli di business, alcuni dei quali già sperimentati in particolare nel mondo anglosassone. Il primo è naturalmente quello che prevede di fare leva su un utilizzo avanzato dei dati per generare valore, restando all’interno del modello di business tradizionale, migliorando l’efficacia dell’up-selling e del cross-selling. Esistono tuttavia anche modelli alternativi. Si pensi alla vendita ai broker di una parte dei dati o alla realizzazione di partnership con i broker stessi o alla vendita di servizi di analytics o di data as a service.
Ciascun modello va analizzato attentamente alla luce dei possibili vincoli di tipo regolatorio e dell’impatto sulla percezione da parte dei clienti, con relativo rischio reputazionale. Il rapporto fiduciario creato tra la banca e il cliente viene messo a rischio in assenza di regole e meccanismi trasparenti sull’utilizzo dei dati e sulla tutela della privacy. In presenza di regole chiare, un cliente potrebbe accettare che una parte dei suoi dati, debitamente anonimizzati, vengano utilizzati dall’istituto di credito per finalità di monetizzazione, laddove gli sia retrocesso una quota parte del valore generato, per esempio sotto forma di condizioni agevolate sui prodotti e servizi che utilizza più frequentemente.
Qualunque sia il modello prescelto, occorre che la banca abbia raggiunto un’elevata maturità in tema di data governance. Ossia che si sia dotata di strumenti e processi per la gestione dei dati lungo tutto il loro ciclo di vita, dalla raccolta all’aggiornamento sino alla cancellazione, fisica o logica. Inoltre, la possibilità di estrarre valore dai dati richiede competenze e strumenti avanzati di analytics che possano derivare correlazioni e inferenze significative in relazione ai casi d’uso di interesse. Quest’ultimo presupposto è tutt’altro che scontato dato il crescente volume e varietà di big e small data da analizzare. E l’evoluzione del cosiddetto Internet of Things non farà che aumentare la complessità, e di contro le opportunità di creare veri e propri modelli di business basati sull’utilizzo dei dati.
La probabilità di avere successo per una banca passa dunque sia attraverso una migliore conoscenza dei propri dati sia dal disporre di una macchina operativa adeguata, in grado per esempio di cogliere opportunità di arricchimento dei propri dati con fonti esterne (open data per citarne una). Si tratta di un’occasione che richiede visione strategica da un lato e la disponibilità a sperimentare adottando un approccio “test & learn” dall’altro. La guerra dei dati è appena cominciata.