Riconsiderare l’impatto che l’imminente Regolamento europeo generale sulla protezione dei dati – dovrebbe entrare in vigore a inizio 2016, con due anni di tempo ai singoli stati per renderlo obbligatorio – potrà avere sui dati relativi alla salute generati da applicazioni e dispositivi portatili. È quanto auspica dai legislatori di Bruxelles lo studio legale Osborne Clarke, la cui richiesta segue la pubblicazione, da parte dello stesso studio, di un’indagine – durante la quale sono state intervistate oltre 4mila persone in tutta Europa – che sottolinea come una crescente percentuale di persone si dichiara disponibile affinché i dati relativi al proprio stato di salute siano usati per ricevere consulti e raccomandazioni mediche online.
“Recenti sondaggi nel Regno Unito dimostrano come la maggioranza dei cittadini approvino il trattamento in rete dei dati personali sanitari, monitorati dai nuovi dispositivi e app, auspicando la generazione di alert sanitari personalizzati”, spiega a CorCom Diego Rigatti, partner responsabile del settore Life sciences di Osborne Clarke, precisando che “se si riflette su come tali dati potrebbero essere utilizzati, anche anonimizzati, dalla sanità pubblica per il monitoraggio di malattie e trend epidemiologici, si comprende come gli interessi dei privati, del business e delle società possano in realtà allinearsi, giustificando una gestione intelligentemente flessibile dei dati nel settore”. Il nuovo regolamento disciplina la gestione dei dati personali da parte delle società europee e l’attuale definizione di dati relativi alla salute include anche le informazioni generate da dispositivi indossabili, da Fitbit a Apple watch, e da applicazioni biomedicali; ciò potrebbe far sì che vengano trattate alla stregua delle informazioni mediche riservate. Riprende Rigatti: “La gestazione dell’imminente regolamento ha mostrato un conflitto fra il Parlamento europeo, più protettivo, e il Consiglio, maggiormente flessibile ad esempio sui meccanismi di espressione del consenso. Il rischio è di accusare una certa schizofrenia fra questi due opposti, con una mediazione che potrebbe non accontentare nessuno”.
Dunque, dopo aver pubblicato i risultati della sua ricerca – nel Regno Unito il 55% degli intervistati non avrebbe problemi a condividere le informazioni generate da app e dispositivi portatili, mentre il 62% si dichiara disponibile a ricevere alert per possibili patologie serie – Osborne Clarke chiede a Bruxelles di agire. Anche in rapporto alle risposte che l’indagine ha ottenuto dai più giovani: nella fascia compresa fra 18 e 24 anni, infatti, il 68% vorrebbe ricevere degli alert e il 62% suggerimenti medici. E ancora, quasi il 40% degli intervistati (una percentuale che, fra le nuove generazioni, supera il 50%) preferirebbe un consulto di tipo virtuale basato su questi dati piuttosto che dover attendere dal medico. “Bisognerebbe non considerare sempre contrapposti gli interessi dei cittadini e delle aziende. Ciò che conta sono la trasparenza dei trattamenti, la facilità di ottenimento di un consenso chiaro per le aziende, un facile esercizio del diritto alla revoca e all’oblio nella rete”, conclude Rigatti.