GARANTE PRIVACY

Datagate, Soro: “Europa e Usa collaborino”

Il Garante privacy spinge per la rapida approvazione di una partnership in campo giudiziario e di polizia. “Investire in protezione dati significa garantire maggiore libertà”

Pubblicato il 06 Dic 2013

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È necessario approvare in tempi rapidi il cosiddetto “accordo-ombrello” tra Europa e Usa per la tutela dei dati personali nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia. Lo ha affermato il Garante per la privacy, Antonello Soro, intervenendo alla giornata di studio su “Datagate e privacy. Dati segreti, dati spiati, dati venduti” oggi alla Camera. “L’esplosione del caso Datagate – ha premesso il Garante – ha avuto come effetto una presa di coscienza globale sulla tutela della privacy e sui cambiamenti avvenuti nella nostra società, sia in termini tecnologici che sociali”.

Il Garante ha indicato i tre fattori che hanno prodotto il Datagate: le leggi emergenziali approvate dopo l’11 settembre 2001; la vulnerabilità dei cavi di fibre ottiche su cui viaggiano le telecomunicazioni transoceaniche; la concentrazione di enormi quantità di informazioni personali nei server dei Big della rete, come Google e Facebook. Tutto questo, ha sostenuto Soro, ha determinato una gravissima perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del governo Usa e negli stessi colossi di Internet.

“Con il Datagate – ha sottolineato il capo dell’Authority – siamo in presenza di un ‘effetto paradosso’: quello di un governo democratico che per combattere il terrorismo e difendere la libertà delle persone viola massicciamente questa stessa libertà, che non è solo quella dei cittadini americani, ma anche di quelli europei e di altri paesi del mondo”.

Di fronte a questa situazione, negli Usa si sta pensando di rivedere le leggi e ricondurre i poteri dell’intelligence dentro una cornice di giurisdizione trasparente e di controllo democratico. Ma è altrettanto importante, questo l’auspicio del Garante della privacy, “una rapida approvazione del cosiddetto ‘accordo-ombrello’ tra Europa e Usa per la tutela dei dati personali nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia”.

Per quanto riguarda il nostro Paese, Soro ha sottolineato come il recente protocollo siglato tra l’Autorità’ Garante e il Dis, il Dipartimento informazioni per la sicurezza, rappresenti “una risposta positiva” alle preoccupazioni suscitate dal Datagate, una risposta in grado, peraltro, di portare a sistema l’attività di vigilanza del Garante e consentire una ricognizione degli archivi utilizzati dai servizi.

Soro ha concluso sottolineando come sempre di più “privacy è un altro nome della libertà” e, di fronte alla sfida che oggi si è aperta, governo e parlamento devono “investire in protezione dati” e dotare il Garante di mezzi e risorse all’altezza dei delicati e cruciali compiti che è chiamato svolgere.

Intervenendo allo stesso convegno Stefano Rodotà, giurista ed ex presidente dell’Autorità per la privacy, ha commentato a proposito del Datagate: “Non si può dire ‘tanto a noi non è successo nulla’. Mi sembra che in questo momento la capacità di gestire il tema a livello generale sia discutibile, ma livello italiano è vicina allo zero”.

Per Francesco Pizzetti, altro ex Garante, il regolamento europeo in materia di privacy “è nato morto. Molti strumenti sono superati per innovazione tecnologica. E il dibattito deve riaprirsi anche sul ruolo dei garanti nazionali”.

Forse, suggerisce Gennaro Migliore di Sel, ”non è sbagliata l’idea di dare al Garante un’altra capacità di intervento. Sarebbe importante – dice – anche valutare scelte di politica industriale come la privatizzazione di Telecom: cosa comporta per il controllo dell’operato e la trasmissione dati?”.

Non mancano rischi, ma la rete, ”può essere anche una grande opportunità – aggiunge a margine il segretario generale della Federazione della Stampa Franco Siddi – Per i giornalisti si tratta di irrobustire il proprio bagaglio e innalzare l’etica della responsabilità, in rispetto dei titolari del diritto all’informazione che sono i cittadini. Internet consente di avere piu’ fonti. Ma mai potremo accettare che i giornalisti che lo usano responsabilmente siano considerati criminali. Vedi il caso Snowden”.

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