Change.org nel mirino del Garante Privacy. L’Autorità ha aperto un’istruttoria sul gestore di una piattaforma internazionale di campagne on line, al fine di valutare come vengono trattati i dati delle persone che si iscrivono al sito www.change.org per promuovere o aderire a petizioni sui temi più disparati, in particolare socio-politici.
“L’intervento si è reso necessario, oltre che a seguito di un’analisi preliminare già effettuata dal Garante sul sito, anche alla luce di notizie pubblicate sui media in merito alle specifiche modalità di trattamento dei dati personali, anche sensibili, degli utenti, che potrebbero essere usati per profilazione o ceduti a terzi”, spiega il Garante.
L’Autorità ha chiesto alla società di fornire ogni elemento – anche di carattere tecnico – utile a valutare le misure adottate per tutelare la riservatezza degli utenti italiani.
In particolare, il gruppo statunitense dovrà chiarire le modalità di acquisizione e le specifiche finalità del trattamento dei dati di chi accede ai servizi offerti sul sito internet. Dovrà inoltre indicare se agli utenti viene resa un’informativa privacy concretamente fruibile e se sono stati predisposti eventuali meccanismi per l’acquisizione del loro consenso all’uso dei dati personali, anche in considerazione della possibile natura sensibile delle informazioni raccolte e trattate, idonee a rivelare, ad esempio, le opinioni politiche, religiose o gli orientamenti sessuali dell’interessato.
Oggetto di interesse del Garante anche il numero degli utenti italiani di Change.org, il luogo dove sono situate le banche dati, il tempo di conservazione dei dati, la possibile comunicazione a terzi, le misure di sicurezza e le tecniche di anonimizzazione eventualmente adottate.
Intanto Change.org risponde a quanto scritto da l’Espresso che li accusava di vendere dati. “Change.org non vende gli indirizzi email – spiega Elisa Liberatori Finocchiaro, Country Lead di Change.org – Offrivamo, e non offriamo più, in modo trasparente, pubblico e legale un servizio di lead generation, che si rivolgeva in Italia esclusivamente ad enti non-profit, un servizio volto per l’appunto a mettere in connessione questi enti con i nostri utenti più impegnati. Peraltro il servizio era già stato dichiarato in chiusura, pubblicamente e in tutto il mondo, il 30 giugno scorso. Più di due settimane prima della pubblicazione del primo articolo da parte dell’Espresso. E sì, all’Espresso glielo abbiamo anche detto, ma non interessava…
“Le petizioni sponsorizzate erano petizioni chiaramente riconoscibili perché disponibili soltanto nel flusso post firma, e mai nelle nostre scelte editoriali (mai nelle email che mandiamo agli utenti registrati o in homepage ad esempio) – prosegue -Le petizioni sponsorizzate erano disponibili in modo simile a banner pubblicitari soltanto successivamente alla firma di una qualsiasi petizione spontanea sul sito, e quelle che chiamo petizioni spontanee sono le uniche al centro dell’intera attività editoriale di tutto lo staff italiano”.
“In parole povere vorrei dire che nessuno, per aver firmato una petizione su Change.org, ha poi ricevuto una email commerciale. C’è chi lo permette, noi non lo permettiamo”, conclude Liberatori.