SCENARI

Dati personali, è ora di massimizzarne il valore economico

La questione è strategica in termini di sviluppo e competitività. Occorre superare i tabù e dare corretta applicazione ai principi alla base del Regolamento Europeo. L’analisi dell’avvocato Masnada

Pubblicato il 16 Giu 2020

Massimiliano Masnada

Privacy Partner Hogan Lovells

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È ineludibile, in un momento come questo, affrontare il tema dell’utilizzo dei dati personali al fine di massimizzarne il loro valore economico e strategico in termini di sviluppo e competitività.

Occorre superare un tabù e dare corretta applicazione ai principi che sono alla base del Regolamento Europeo in tema di dati personali. Basta leggere i considerando iniziali per comprendere la rivoluzione introdotta dal legislatore europeo che ha posto le basi affinché la materia della tutela dei dati personali esprima quella dinamicità e funzionalità necessaria a fare da volano verso uno sviluppo economico sostenibile e diffuso. Alla base del Regolamento è posto infatti un principio di bilanciamento di interessi che valorizza la tutela dei dati personali nel quadro del loro utilizzo e sfruttamento da parte dei soggetti che professionalmente li raccolgono e li trattano nell’ambito della fornitura di beni e servizi al mercato.

Il diritto alla tutela dei propri dati personali deve essere inteso, non come ostativo alla realizzazione di interessi altrui altrettanto meritevoli di tutela, quanto piuttosto come esigenza di trasparenza e di protezione della persona nel quadro sistemico di composizione di interessi contrapposti. Esempi di questo approccio sono contenuti all’interno del Regolamento, come nell’art. 6 relativo alla base giuridica del trattamento, che ha introdotto il concetto di “interesse legittimo” del titolare o di terzi, alternativo al consenso dell’interessato (la vera novità è che oggi l’interesse legittimo è autocertificato dal titolare mentre prima doveva essere autorizzato preventivamente dal Garante privacy) ovvero nell’art. 89 che legittima il trattamento dei dati personali per scopi di ricerca scientifica, storica o per l’analisi statistica, considerando tali finalità di pubblico interesse. Se questo è il quadro di riferimento che ci ha fornito il legislatore comunitario, occorre superare la rigidità interpretativa delle autorità di controllo europee, che, su alcuni temi, in passato hanno dato prova di un certo conservatorismo di maniera non cogliendo, a parere di chi scrive, il vero significato del Regolamento inteso a favorire l’utilizzo diffuso e la circolazione dei dati pur all’interno di rigidi paletti che delimitano i confini della tutela della persona cui i dati appartengono.

Un incentivo a rompere gli indugi e a seguire un approccio più dinamico e progressista è contenuto nella Relazione sul rilancio “Italia 2020-2022” presentata giorni fa al Presidente del Consiglio Conte dal Comitato di esperti presieduto dal Vittorio Colao. La Relazione è incentrata sul creare le condizioni per affrontare definitivamente le fragilità italiane che impediscono un pieno e costante sviluppo economico e sociale. In particolare, se, da un lato, si auspica un’Italia più resiliente che sia in grado di colmare il ritardo digitale rispetto agli altri Paesi occidentali, dall’altro, si punta ad avere un Paese più dinamico e competitivo, soprattutto a livello di Pmi che sono il tessuto economico italiano, favorendo, tra gli altri, gli investimenti, la riqualificazione, la ricerca scientifica e l’innovazione, la digitalizzazione dei processi produttivi e una pianificazione degli investimenti.

Uno dei pilastri per la rinascita è quindi la digitalizzazione e innovazione di processi, prodotti e servizi, pubblici e privati. Solo con un’azione di radicale digitalizzazione e innovazione, il Paese potrà effettuare un “salto in avanti” in termini di competitività del proprio sistema economico, di qualità di lavoro e di vita delle persone, di minore impatto ambientale e di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. In tale contesto, funzionale al processo crescita è lo sfruttamento a fini statistici e di ricerca di big data e meta-data. Secondo il Comitato di esperti, infatti, è allarmante il ritardo dell’Italia nell’utilizzo dei dati individuali di survey, fonte amministrativa e big data anche interconnessi a fini statistici e di ricerca, di disegno e valutazione delle policy a causa di rigidità interpretative sul fronte dell’applicazione del Regolamento europeo privacy. Tale ritardo ha fortemente limitato la valorizzazione dei giacimenti informativi a fini statistici e di ricerca, sia in campo pubblico, per l’analisi, la valutazione e la pianificazione delle politiche di sviluppo, sia in capo privato per analizzare le tendenze e le opportunità del mercato riducendo la competitività delle imprese italiane rispetto ai competitors stranieri nonché per introdurre e facilitare l’innovazione dei processi produttivi. Occorre introdurre il concetto di utilità sociale del trattamento dati a fini statistici e di ricerca scientifica a fianco della garanzia di privacy dei cittadini.

Invero, il mercato italiano dei big data è dinamico ed in costante crescita, avendo raggiunto nel 2019 un valore di 1,7 miliardi euro con una forte crescita occupazionale per i profili professionali coinvolti. Resta però evidente il divario fra le imprese di grandi dimensioni e le Pmi in termini di investimenti sulla Data Science. Le recenti statistiche confermano che: il 38% delle Pmi non ha ancora avviato alcun progetto di analytics a fronte del 7% delle grandi imprese, solo il 23% delle Pmi ha introdotto sistemi di Data Analysys, solo il 16% ha inserito un Data Scientist nel proprio sistema di governance.

Sembra andare in tal senso un emendamento proposto alla legge di conversione del DL Rilancio con cui si propone l’introduzione di una nuova norma del Codice Privacy italiano (già modificato dal D.Lgs. 101/18 per armonizzarlo al Regolamento europeo) che consenta il “riuso” di dati personali, ovviamente resi anonimi o pseudonimizzati a tutela dell’identità dell’interessato, per soluzioni di intelligenza artificiale in settori di pubblico interesse. In base alla norma proposta soggetti pubblici e privati potranno utilizzare e diffondere dati personali per scopi di ricerca e sviluppo di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale finalizzate “esclusivamente” all’esecuzione di compiti di interesse pubblico, di utilità sociale o per l’esercizio di pubblici poteri.

A parere di chi scrive, pur essendo la proposta citata un passo avanti, da sola non è sufficiente e lascia spazio a possibili interpretazioni restrittive sul ruolo del titolare del trattamento e sui compiti di pubblico interesse. Opportuno, al contrario, favorire un’interpretazione del Regolamento europeo che valorizzi in termini economici l’utilizzo e l’analisi dei dati come prodromo alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile, alle politiche occupazionali e di sostegno, nonché alla riduzione del gap di competitività soprattutto delle Pmi rispetto ai grandi player del mercato digitale. Il tutto nel rispetto dell’identità e autodeterminazione individuale, utilizzando tecniche di anonimizzazione e aggregazione dei dati che sfruttino i flussi senza risalire agli individui. La sacrosanta tutela della privacy, come valore costituzionale, deve essere garantita in modo armonico e sistemico con gli altri valori di rango costituzionale, ivi incluso il diritto all’iniziativa economica privata e, più in generale, alla salvaguardia e sviluppo del sistema economico nazionale.

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