SMART CITY

Dati, tracce, e impronte: la città a cuore aperto

Internet of Things e reti di sensori wireless moltiplicheranno a dismisura la mole di indicazioni sull’ambiente metropolitano. Potenziando gli strumenti di pianificazione e previsione degli interventi pubblici

Pubblicato il 19 Mar 2012

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a vita quotidiana nelle città moderne lascia una quantità incredibile di tracce ed informazioni, che vanno ad aggiungersi alla varietà di dati ambientali direttamente rilevabili. La raccolta di tali informazioni è di per sé un’attività non banale, basata su strumenti sempre più complessi: dall’osservazione diretta dei fenomeni si passa a dispositivi in grado di rilevare e registrare una pluralità di condizioni – telecamere, microfoni, igrometri, anemometri… Emerge chiaramente l’esigenza di metodologie interpretative che vadano al di là dei tradizionali indicatori ambientali – temperatura, umidità, velocità del vento, inquinanti ecc. – alla ricerca di metriche in grado di rendere conto dei comportamenti quotidiani dei sempre più numerosi abitanti delle città.
William H. Whyte, urbanista, giornalista, e city planner, può essere considerato un precursore del monitoraggio degli spazi urbani mediato da strumenti tecnologici. Lo Street Life Project, pionieristico studio del comportamento scaturito dalla partecipazione di Whyte alla New York City Planning Commission nel 1969, ha osservato le strade della città per oltre 16 anni, con macchine da presa posizionate su tetti e balconi per registrare, senza interferirvi, il pulsare continuo della Grande Mela. Whyte ha analizzato migliaia di fotogrammi, concentrandosi sul rapporto dei cittadini con gli spazi urbani, misurandone rigorosamente tempi e modi. Con The Social Life of Small Urban Places, osservazione sistematica delle abitudini dei commuters di New York, l’urbanista lancia proposte di redesign delle piazze cittadine, dando inizio ad una vera e propria rivoluzione nella pianificazione.


Le tecnologie digitali hanno amplificato la capillarità dell’osservazione, evidenziando in modo ancor più definito il footprint informativo generato quotidianamente dall’agire umano nelle città, e la necessità di metriche che permettano di ricostruirlo. L’utilità della metodologia per l’aggregazione dinamica dei segnali dei telefoni cellulari in movimento, sviluppata dall’architetto Carlo Ratti in seno al Senseable Cities Lab del MIT di Boston, per esempio, è resa esplicita dal contributo del gruppo di ricerca del Politecnico di Milano coordinato dal professor Fabio Casiroli: selezionando i dati sulla base dei tempi di percorrenza e del periodo della giornata, è stato possibile costruire mappe che dimostrano disservizi circoscritti a orari precisi, in sistemi di trasporto altrimenti considerati molto efficienti. Il valore previsionale di questo tipo di analisi è ingente: la metodologia ha permesso a Bruno Giorgini ed alla sua équipe, all’Università di Bologna, di dimostrare i benefici futuri di sistemi di micromobilità non ancora esistenti.
Tali capacità predittive tornano estremamente utili nella pianificazione degli interventi pubblici perché consentono di modellare scenari alternativi testando in anticipo le conseguenze di scelte controverse.


L’avvento dell’Internet of Things e delle reti di sensori wireless moltiplicherà a dismisura le informazioni a disposizione (per volume e tipo), rendendo la capacità di costruire indicatori significativi requisito fondamentale per la comprensione dei fenomeni urbani, da cui dipende una corretta pianificazione urbana, sia in termini normativi che infrastrutturali. Garantire l’accessibilità ai dati rilevati è uno sforzo meritorio nella direzione della trasparenza, ed apre alla possibilità di un contributo collettivo alle attività necessarie alla loro valorizzazione.
Il Comune di Firenze ha recentemente fatto un primo passo nella direzione dell’Open Government, aprendo al pubblico 180 dataset, accessibili attraverso app per smartphone. Il Dipartimento del Commercio statunitense si è spinto ben oltre, con un contest per sviluppatori in grado di generare valore per le aziende a partire dai dati resi pubblici dall’amministrazione Usa.
La sfida posta da una quantità di informazioni che non ha pari nella storia umana, non riguarda però solo urbanisti e tecnologi: statistica, antropologia, teoria dell’informazione, psicologia, semiotica, linguistica, sono discipline che, accanto a molte altre, possono rivestire ruoli rilevanti nell’elaborazione di metriche per realizzare le promesse degli Open Data.

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