Oggi è impossibile pensare a qualsiasi aspetto economico e sociale slegato dal mondo digitale, tuttavia nonostante la richiesta di competenze e nuove tecnologie è ancora grande il gap legato al tema della formazione in questo settore.
Pur essendo uno dei settori in continua crescita, con il tasso minore di disoccupazione e gli stipendi più alti, ha tutt’oggi poche figure professionali formate ad alto livello. Sono solamente poche centinaia i laureati in ingegneria informatica ogni anno in Italia e il dato è di per se paradossale se considerato l’altissimo numero di disoccupati in Italia. Vogliamo investire in formazione e continuiamo a spronare i nostri giovani a studiare ma non lo stiamo facendo nella giusta direzione ed il rischio è quello che continuare a formare “futuri disoccupati”.
Il politecnico di Milano, una delle eccellenze del nostro paese, nel 2014 ha fatto laureare 681 Architetti. Oggi di questi il 18,4% è disoccupato. Situazione diversa per gli ingegneri informatici, laureati in 198 e di questi nessuno senza impiego. Il dato diventa drammatico quando consideriamo i 20.000 laureati in letteratura con un tasso di disoccupazione del 33,2%.
Oggi il WebDeveloper è la quarta professione più richiesta sul mercato del lavoro ma il 22% delle posizioni aperte non trova candidati in linea, spiega una ricerca di Modis. Secondo l’Unione Europea, entro il 2020 ci saranno 900.000 posti di lavoro vacanti nell’Ict. Eppure i dati sulla disoccupazione, specie quella giovanile, dicono tutto il contrario. In cosa stiamo sbagliando?
In Italia, sul digitale e sull’innovazione, non esiste una formazione specifica in ambito digitale e spesso i ragazzi preferiscono percorsi di studi più tradizionali che però, di fatto, formano disoccupati.
Nonostante non formi futuri disoccupati anche la stessa ingegneria informatica non si può definire perfetta. I corsi tengono i ragazzi seduti sui banchi per tre anni, formandoli con molta teoria e poca pratica non dando loro la possibilità di essere pronti ad affrontare concretamente il mondo del lavoro. Questo causa alle aziende un’enorme costo in quanto pur avendo giovani formati teoricamente, devono occuparsi loro stesse di preparali al mondo del lavoro e alle esigenze del mercato. Continuiamo a ripeterci che bisogna investire nel digitale, che serve la banda larga, che bisogna digitalizzare le imprese ma continuiamo a contare su pochi esperti e tanti autodidatti che non trovando un sistema formativo adeguato si inventano dalle loro passioni una professione. Se vogliamo davvero pensare di innovare le nostre aziende e le nostre pubbliche amministrazioni dobbiamo ripartire dalla base, ovvero dalla formazione. La formazione non solo dei tecnici ma anche di chi deve prendere le decisioni in azienda (dal finance al managment) e spesso non sa nemmeno cosa sia il digitale oltre all’ipad e la mail.