L'INTERVISTA

De Kerckhove: “Privacy? Ormai siamo tutti trasparenti”

Il sociologo belga: “Dobbiamo imparare a prendere atto della nostra nuova condizione in Rete e giocare con le identità digitali”

Pubblicato il 04 Nov 2013

«Siamo completamente attraversati da correnti di informazione, inseriti in un contesto di informazione globale, istantanea e condivisa. Questo non è il futuro, è già il presente. Eravamo abituati a pensarci come individui ben protetti in una sfera che garantiva la nostra privacy, ma non è più così. Pensare di poter tornare indietro non avrebbe alcun senso. La cosa più utile da fare sarebbe prendere atto della situazione, e soprattutto imparare a farci i conti”.

A parlare è Derrick De Kerckhove, sociologo di origine belga trapiantato in Canada, allievo e collaboratore di Marshall McLuhan all’università di Toronto, che in Italia è docente presso la facoltà di Sociologia della cultura all’università Federico II di Napoli, oltre che direttore scientifico della rivista di cultura digitale “Media Duemila”.

Professor De Kerckhove, le nuove strategie di comunicazione, a partire da quelle della pubblicità on-line, imporranno di rivedere le norme sulla tutela della privacy?

C’è anche chi dice che ormai è troppo tardi. La nostra intimità è già invasa, e la nostra identità digitale è parte di noi. Forse sarebbe consigliabile cambiare le nostre aspettative, accettare consapevolmente di essere ‘trasparenti’. Invece di lamentarsi, soprattutto quando si tratta di identità digitali e di politiche commerciali, sarebbe bene cambiare mentalità e imparare a usare i mezzi che abbiamo a disposizione. Pretendendo ad esempio di essere pagati da chi vuole utilizzare le informazioni che ci riguardano a fini commerciali, oppure giocando con le nostre identità digitali, diventando attivi invece che passivi.

Il mercato pubblicitario e promozionale in rete è in rapida espansione. Quali sono le nuove frontiere in questo campo?

Oggi con i social media e il web 2.0 siamo arrivati a esplorare la natura più vera della rete, quella relazionale. Si è creata una vera e propria situazione di comunità. Per la pubblicità le tre regole d’oro sono diffondere, ma questa non è una novità, anche se la rete consente di veicolare messaggi a platee planetarie in tempi rapidi e a costi contenuti; coinvolgere, e anche questo non è un concetto originale, ma la rete offre possibilità di interazione importanti, anche se spesso non sono sfruttate a pieno; e infine creare comunità, come aveva capito benissimo Gerd Gerken, un genio del marketing, con la sua teoria dell’interfusione. Non serve a niente sbattere un nuovo prodotto in faccia ai suoi potenziali acquirenti, ma è fondamentale creare interesse attorno a quel prodotto. Su questo la rete ha potenzialità enormi. Tra le grandi e piccole compagnie che si occupano di pubblicità in Italia, più della metà non sanno ancora muoversi in rete. Un peccato, perché Internet offre istantaneità, globalità, la possibilità di creare un archivio sconfinato e di studiarlo nei particolari, per offrire a ognuno prodotti ‘su misura’. La rete oggi è in grado di fornire a ogni inserzionista un nuovo pubblico sconfinato, la sua vera potenziale clientela.

Lei ha approfondito la dimensione emozionale e virale della rete. Come si può illustrare in sintesi questo campo di ricerca?

Tra tutte le cose che possiamo e ci piace condividere quali sono le prime? Di sicuro le emozioni. Andiamo in rete e sui social network per esprimere e condividere indignazione, felicità, odio, ironia. I sentimenti e le emozioni sono alla base della sopravvivenza della nostra identità digitale. Senza emozioni, l’intero sistema crollerebbe. Ho approfondito il discorso studiando come si sono diffuse in rete le informazioni sulla primavera araba. Ho potuto notare come il sistema limbico fisico si ripete nella rete a livello sociale, e consente alle emozioni di svilupparsi a una velocità istantanea. L’impressione è che anche piccole correnti di emozioni pure riescano a farsi strada naturalmente. Se si considera bene questo rapporto tra il sistema organico e quello sociale sviluppato dalla rete si aprono nuove possibilità ancora tutte da studiare. Una cosa è creare il desiderio, un’altra il pieno coinvolgimento, fino a convincere le persone che è necessario ad esempio scendere in piazza, rischiare la vita. E’ una dimensione da esplorare e da capire fino in fondo, perché può essere applicata a tutti i campi della comunicazione, dalle politiche commerciali alla “retorica” in generale, alla politica. In questo senso ho coniato il neologismo di “ipertinenza” della rete. Nel mondo di Internet il contesto può essere non soltanto pertinente rispetto al messaggio che si vuole veicolare, ma “ipertinente”, completamente personalizzato rispetto alle esigenze e alle emozioni di una persona o di un gruppo, tanto da arrivare a funzionare in modo omeopatico.

E’ plausibile prevedere che gli investimenti pubblicitari si sposteranno sempre più su Internet, e che la rete diventerà progressivamente il principale mercato?

Lo spostamento degli investimenti pubblicitari segue fedelmente lo spostamento di altre azioni umane che si stanno via via trasferendo in rete. Ma non credo che questo causerà l’abbandono degli altri mercati pubblicitari, che a mio avviso continueranno a funzionare e a produrre il loro effetto sul loro pubblico di riferimento. Anche la Tv, ad esempio, sta trovando il modo di adattarsi alla domanda del digitale, anche quella generalista. E anche la stampa e i libri manterranno un loro mercato, per quanto sarà più ‘di nicchia’ rispetto a oggi. Perché la carta è l’unico posto in cui la parola e il pensiero umano si fissano, mentre sugli schermi il pensiero è fluido. Infine il mercato pubblicitario on-line non soltanto è più economico di quello tradizionale, ma è anche quello che richiede più innovazione, che deve mirare necessariamente a standard di qualità più che di quantità.

Alcune delle più interessanti start up degli ultimi anni sono società specializzate sul viral marketing. Che possibilità di espansione ci sono ancora in questo campo?

Io vedo spazi enormi. Se parliamo di viral marketing a mio avviso sconfiniamo nel campo dell’arte, della creatività. Le motivazioni che spingono un pensatore, uno scrittore, sono di esprimere ciò che pensa riuscendo a toccare il lettore in profondità. Per questo la parola viene trattata come una forma di poesia, e va a dare vita a uno stile. Trasferendo queste attitudini verso la creazione sulla rete, di un momento o di un evento virale, è come assistere a un’epifania. La viralità sulla rete è una nuova letteratura, è un nuovo modo per creare e attirare forme di espressione che siano in grado di sorprendere. Siamo di fronte a una cultura di creazione che è allo stesso livello di quello della letteratura classica: inventare cose che sorprendono, creano emozione, desiderio di condividere.

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